Paolo Natale, professore di Metodologia della ricerca sociale all’Università degli studi di Milano, studioso del voto, esperto di sondaggi e flussi elettorali, storico collaboratore di IPSOS, l’istituto demoscopico di Nando Pagnoncelli per il quale realizza ormai da parecchi anni le stime dei risultati elettorali.
Lo abbiamo intervistato, a una decina di giorni dal voto del 25 settembre, per chiedergli alcune valutazioni su come sta andando la campagna elettorale dei principali partiti e quale sarà il responso delle urne.
Venerdì 9 settembre sono stati pubblicati gli ultimi sondaggi prima del silenzio elettorale previsto dalla par condicio. Alcuni punti che sembrano acclarati, al netto di eventuali sorprese procurate dagli indecisi, riguardano il fatto che l’inseguimento di Fratelli d’Italia da parte del PD non sta riuscendo, l’inatteso recupero di consensi del Movimento 5 Stelle, soprattutto nel Sud, e la flessione della Lega. Risultati che in ultima analisi non dovrebbero cambiare il responso finale delle urne, in termini di vittoria dello schieramento di centro destra, ma che possono avere importanti ripercussioni nei rapporti di forza fra i diversi partiti politici? Che cosa potrebbe accadere se il successo della Meloni fosse accompagnato da un risultato negativo della Lega di Salvini, magari superata dal Movimento 5 Stelle, e se il PD dovesse faticare a superare il 20 per cento?
Effettivamente tutte le ultime indagini demoscopiche sulle intenzioni di voto mettono chiaramente in evidenza come il risultato della competizione elettorale sia ormai da tempo cristallizzato, con la quasi certa vittoria della coalizione di centro-destra, con un ampio margine di vantaggio (di almeno 15 punti) su quella di centro-sinistra e ancora più sul restante spettro delle forze politiche, che corrono oltretutto in solitaria.
Se dunque non ci sono dubbi sulla “classifica” finale in termini coalizionali, tre sono invece le domande che ancora non trovano risposta, per le quali si dovrà attendere il restante periodo di campagna elettorale:
– la possibilità che il centro-destra arrivi ad ottenere la cosiddetta maggioranza qualificata nei due rami del parlamento (i due terzi dei seggi), che gli permetterebbe di legiferare anche sui contenuti costituzionali senza bisogno di ricorrere al referendum confermativo popolare; le stime più recenti indicano una sua quota di seggi, sia alla camera che al senato, compresa tra il 60 e il 65%, non molto distante dunque dal decisivo 67%;
Il rapporto interno tra i partiti della coalizione di centro-destra; in termini di consensi elettorali, attualmente Fratelli d’Italia doppia la Lega e triplica quelli di Forza Italia, stime che vedrebbero il partito di Giorgia Meloni ottenere circa la metà dei seggi parlamentari della sua coalizione, il che renderebbe quasi impossibile non darle l’incarico di Presidente del Consiglio e l’ultima parola, quindi, sulla formazione del governo e sulla scelta dei ministri più rilevanti. Data quasi per scontata la vittoria di Fratelli d’Italia in termini partitici, visto il distacco crescente nei confronti del Partito Democratico, se non accadono avvenimenti straordinari negli ultimi giorni pre-elettorali, gli interrogativi riguardano le altre due competizioni “minori”: quella tra Movimento 5 stelle e Lega, oggi stimati con un distacco di un paio di punti a favore di Conte (14% a 12%), distacco peraltro tutto interno al possibile errore di campionamento, e quella tra Forza Italia e l’alleanza Calenda-Renzi, cioè Azione+Italia Viva, con l’attuale lieve vantaggio del partito di Berlusconi (8% a 6%).
Queste sono le tre incognite da tenere sotto osservazione, in attesa di una risposta definitiva nella notte tra il 25 e il 26 settembre.
A dieci giorni dal voto, proviamo a dare le pagelle alle campagne elettorali di alcuni principali leader politici in lizza: Meloni, Salvini, Calenda, Conte e Letta.
Sebbene molti commentatori definiscano l’attuale campagna elettorale generalmente come piuttosto “fiacca”, si possono riscontrare alcune significative differenze nel modo in cui essa è stata gestita dai più rilevanti attori politici.
Giorgia Meloni, prima fra tutti, essendo considerata sia dalle rilevazioni demoscopiche che dalla percezione dell’elettorato come la quasi sicura vincitrice della competizione, ha improntato la sua campagna all’insegna del tentativo di accreditarsi sia a livello nazionale che internazionale come la leader di un partito responsabile e “non-eversivo”. Il suo passato di vicinanza con la destra post-fascista l’ha indotta a crearsi un’immagine attuale affatto differente, ribadendo in più occasioni la sua fedeltà all’Europa, alla Nato, al patto atlantico e la sua alterità nei confronti della Russia di Putin (benché in qualche occasione non sia stata del tutto convincente).
Un’immagine rassicurante che ha comunque contraddistinto una comunicazione volta più a differenziarsi dal suo principale alleato leghista che dalle altre forze in campo. Voto: sette più.
Enrico Letta è stato protagonista di parecchi errori sia nelle scelte tattiche delle alleanze che nella strategia comunicativa. Per quanto riguarda il primo aspetto, egli ha rinunciato sin da subito alla partnership con il Movimento 5 stelle, imputato di aver permesso, se non di aver causato direttamente, la fine del governo Draghi. Una possibile alleanza che probabilmente avrebbe permesso ad entrambe le forze politiche di essere maggiormente competitive nei confronti della coalizione di centro-destra. Neppure il tentativo di apparentarsi con Calenda ha dato risultati positivi, preferendogli inspiegabilmente Fratoianni, che è peraltro sempre stato all’opposizione del governo uscente ed è accreditato di un risultato elettorale certo insufficiente per rendere competitiva la coalizione di centro-sinistra.
Dal punto di vista comunicativo, Letta ha costantemente cercato di incanalare la campagna sull’antagonismo bipolare Fratelli d’Italia-Partito Democratico, invitando ad una chiara scelta di campo, grazie anche ad una serie di escamotage giocati sulla contrapposizione valoriale e cromatica tra nero e rosso, ma senza altre parole d’ordine capaci di conquistare significative aree di elettorato ancora incerte. Voto: cinque.
Matteo Salvini è sembrato troppo spesso la controfigura di quel leader che in occasione delle elezioni europee è stato capace di portare la Lega al suo massimo storico, con un consenso di almeno un terzo dell’elettorato attivo. L’abbandono della sua efficace comunicazione improntata sulla cosiddetta “bestia” lo ha visto in molte occasioni come incapace di definire la collocazione della Lega, sia in Italia che a livello internazionale. Nel nostro paese, non è apparso chiaro se volesse continuare l’esperimento di una Lega Nazionale, come appunto nel 2019, o appellarsi maggiormente al suo antico elettorato “padano”; nel contesto internazionale, Salvini si è sempre mostrato incerto tra l’appoggio alla resistenza ucraina e la desistenza nei confronti delle sanzioni verso la Russia.
Una comunicazione piuttosto “oscillatoria” che ha comportato un significativo calo di consensi. Voto: tra il quattro e il cinque.
Carlo Calenda è stato anch’egli protagonista di comportamenti ondivaghi, prima con l’ipotesi di allearsi con Letta per poi chiudere la collaborazione a causa della presenza di Fratoianni, prima attaccando frontalmente Renzi (“mai e poi mai starò con lui”) per poi allearcisi in una conclusiva partnership elettorale. Sebbene le sue proposte politiche siano state sufficientemente articolate, prima fra tutte la cosiddetta “agenda Draghi”, le sue capacità comunicative non sembrano aver avuto presa su quote sufficientemente ampie di elettorato, tali da farlo diventare realmente decisivo per le scelte di governo future. Voto: sei.
Giuseppe Conte ha dovuto fin da subito fronteggiare una tendenza di costante decremento dell’elettorato pentastellato, passato dal quasi plebiscito delle precedenti politiche al dimezzamento degli anni successivi. La sua strategia, volta a ridefinire il progetto del Movimento 5 stelle, è comunque riuscita a ridare un minimo nuovo slancio alle scelte in favore della sua compagine politica. Dall’antico generico messaggio contro la “casta” e l’establishment, Conte è riuscito a fornire una proposta più definita e coerente, a favore delle classi più indigenti (ribadendo la scelta del reddito di cittadinanza), di una decisa transizione digitale democratica, ecologica e ambientalista (l’orizzonte 2050), dando un’immagine del suo movimento/partito maggiormente chiara. Scartata per il momento l’ipotesi di alleanza con il Pd, non è peraltro da escludere che questa venga riattivata nei futuri anni di opposizione al centro-destra. Voto: sette meno.
Nei sondaggi figurano ancora percentuali consistenti di elettori che si dichiarano indecisi. Quali probabilità effettive vi sono che questi elettori possano produrre cambiamenti significativi negli scenari attesi del voto?
Nelle elezioni del prossimo 25 settembre assisteremo molto probabilmente ad una significativa decrescita della partecipazione elettorale.
Le stime attuali del turnout ci parlano di una quota che ruota intorno al 66 per cento, 7 punti in meno delle precedenti consultazioni politiche.
Gli indecisi sono oggi stimati in circa il 10%, che devono decidere se recarsi alle urne o meno ovvero decidere per quale partito votare.
L’impressione generale, supportata da alcune analisi delle caratteristiche di questo elettorato incerto, è che non dovrebbero registrarsi mutamenti significativi nel risultato finale, vale a dire che le possibili scelte degli incerti non si configurano in maniera particolarmente differente da quelle di chi già ha deciso, con soltanto un lieve incremento delle opzioni a favore di Fratelli d’Italia e del Movimento 5 stelle, che potrebbero veder migliorato, rispetto alle stime degli ultimi sondaggi pubblicati prima del blackout, il loro livello di consenso finale.