Le urne sono ancora calde, le analisi più approfondite sono in corso, ma un primo bilancio di queste elezioni possiamo fornirlo semplicemente confrontando i risultati di coalizioni e partiti con quelle che erano le rispettive aspettative ex ante voto.
Anzitutto, non vi è dubbio che la coalizione uscita vincente dal voto sia quella di centro-destra. Con 235 seggi su 400 (43,8%) alla Camera e 112 seggi su 200 (44%) al Senato il cartello elettorale di Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia e Noi moderati ha conquistato una solida maggioranza nei due rami del Parlamento. Una vittoria che metterà la coalizione guidata da Giorgia Meloni (leader del partito che ha preso più consensi) in condizioni di governare senza dover ricorrere a stampelle istituzionali, “responsabili” che corrono in suo soccorso, partiti estranei alla proposta politica che si è presentata al vaglio degli elettori. Molto probabilmente avremo la prima Presidente del Consiglio dei ministri al femminile, un politico a tutto tondo, che viene dalla tradizione della destra post-fascista italiana. Un’affermazione che la stessa Meloni ha dedicato ai “patrioti che non hanno mai tradito” e che non ci sono più, giusto per segnare – a urne chiuse – un legame al tempo stesso affettivo e politico con quella comunità di persone che, dalla nascita del Movimento sociale italiano al suo “sdoganamento” grazie a Gianfranco Fini, viene da un’esperienza politica per lungo tempo condannata alla marginalità per via delle sue origini.
Fratelli d’Italia ha sbaragliato il campo del centro-destra, visti i risultati non proprio entusiasmanti dei suoi partner di coalizione. Rispetto alle attese della vigilia, se un partito nella coalizione centro-destra non ha centrato il bersaglio è la Lega di Salvini, che ottiene poco più dell’8% sia alla Camera sia al Senato, un risultato ben al di sotto delle sue aspettative e di quella soglia del 10% che avrebbe comunque rappresentato un pareggio. Questo esito non proprio brillante sembra destinato a inaugurare una fase di grande turbolenza nella Lega, nonostante la straordinaria capacità di incassare risultati negativi del suo leader. Salvini ha annunciato l’avvio di una fase congressuale, con un’ampia consultazione delle realtà locali, anche se non sembra avere alcuna intenzione di abbandonare il bastone del comando, almeno fino alla resa dei conti dell’assise di partito. Del resto, lo stesso Salvini è ben consapevole del fatto che in casa sua non vi sia una leadership alternativa alla sua. E anche se dovrà scontare le rivendicazioni dell’asse fra Giorgetti e i governatori regionali leghisti (Zaia e Fedriga in testa), non è detto che il confronto interno si chiuderà con la sua destituzione.
Un risultato altrettanto sbiadito, anche se meno frustrante in ragione delle minori aspettative della vigilia, è quello realizzato da Forza Italia. Partito nato e cresciuto a immagine e somiglianza del suo unico e indiscusso leader, Silvio Berlusconi, ormai giunto all’ultimo miglio della sua straordinaria carriera politica, ritrova nell’8% conquistato alla Camera e al Senato un risultato pari alle sue limitate ambizioni pre-elettorali. Il punto semmai è quale futuro aspetti Forza Italia, una volta che per ragioni biologiche e anagrafiche Berlusconi sarà costretto all’uscita di scena. Cosa faranno di qui alla fine della Legislatura i parlamentari di quel partito rappresenta un’ipoteca non trascurabile sul centro-destra di domani. Riusciranno a rivitalizzare il partito nell’orizzonte del post-berlusconismo? Daranno vita a una nuova formazione politica di destra moderata e liberale? Oppure confluiranno negli altri partiti del centro-destra, Lega o Fratelli d’Italia? Chi vivrà vedrà.
L’altro vincitore, del tutto inaspettato, di questa tornata elettorale è senza ombra di dubbio Giuseppe Conte, che è riuscito letteralmente a ridare vita a un Movimento 5 Stelle che era atteso al definitivo canto del cigno e invece è riuscito a conquistare uno straordinario 15% sia alla Camera sia al Senato, risultando il quarto partito italiano, dopo il PD e prima della Lega. Il successo di Conte e dei 5 Stelle si deve in particolare alla rimonta di cui è stato protagonista nel Mezzogiorno, grazie all’orgogliosa rivendicazione del reddito di cittadinanza. Ed è il prodotto di una domanda di rappresentanza da parte degli esclusi, che ha trovato riscontro nella difesa di una concezione interventista dello stato fondata su una pretesa di gratuità. Ma se è vero che, per le condizioni del nostro bilancio pubblico, ormai lo Stato non è più in grado di assicurare pasti gratis, il successo di Conte rischia di essere assai più fragile di quanto apparentemente sembri, come un gigante dai piedi di argilla pronto a sgretolarsi di fronte alla prima prova concreta di sostenibilità.
(Segue nella seconda parte)