Le stelle, quando ballano?
Il Maestro è nato il 4 settembre. La data è già un preannuncio beneaugurante: nato alla fine del caldo estivo e nel periodo precedente il clima mite dell’autunno. Buon segno, significa equilibrio, ma indica anche tensione verso la perfezione e comunque attenzione per le “cose ben fatte”.
Il Maestro è così: un forte senso del dovere e della responsabilità.
Mejias Ruiz Yoel Luis, per tutti: Maestro Yoel di Cuba.
Nato a Camaguey, già Santa Maria del Puerto del Principe, una città di circa 300.000 abitanti e collocata nella parte centro orientale di Cuba, terza città del paese.
Ci racconti un po’ la sua storia. Come è arrivato in Italia?
Lavoravo come primo ballerino per un tour operator italiano, ho conosciuto mia moglie ed eccomi qua.
Sorride. Ha un bel sorriso coinvolgente.
Quindi è venuto in Italia per amore?
Sì. Parliamo del 1997. Ho seguito i consigli di quella che a suo tempo era la mia fidanzata e ora mia moglie. Lei sosteneva che qui avrei potuto avere successo, con la mia danza e la mia cultura.
Quale danza?
La salsa, il merengue…
E com’è stato l’impatto con l’Italia?
Sono partito da Cuba con molto entusiasmo e molto caldo. Arrivato in Italia il 29 gennaio, per me era un freddo polare, era il primo giorno della merla. Una giornata bellissima e freddissima. Io ero vestito leggero, abbigliamento estivo con il “sombrero”. Mia moglie, che era venuta a prendermi in aeroporto, mi corre incontro con un giaccone e mi accoglie preoccupata dicendomi: “Copriti o la prima broncopolmonite è tua”. Ridiamo insieme. Quello fu proprio un bell’inizio e per me cominciava anche una bella prova. La sfida con una nuova vita.
Se tutto fosse andato bene sarei rimasto in Italia, altrimenti ci eravamo già accordati che saremmo tornati a Cuba insieme. A mia moglie sarebbe piaciuto vivere lì. E invece sono qui da oltre 25 anni.
Sopravvissuto al freddo…
Sì, sono scampato al freddo e adesso in Italia mi trovo bene. Mi piace la “scighera”.
Sorride
Ma lei parla milanese?
Un pochino e so anche cos’è la cardgrega…
Come si fa a non sorridere? Il maestro Yoel si dimostra subito uomo di spirito, affabile e grande comunicatore.
Abbiamo saputo che è anche un bravo cuoco…
Sì, è vero, mi piace molto cucinare, ho imparato anche a fare il risotto alla milanese.
Ma lei come ha fatto a saperlo?
Sa com’è… con il nostro giornale… si parla, si osserva, si incontra gente… altro?
Per esempio, sono estimatore di vini e mi piace abbinare i vini con i cibi.
Il Suo vino preferito?
Non c’è dubbio: il bianco, fruttato, fermo.
Da abbinare con…
Un piatto di pasta: mezze penne, con tonno rosso, salmone finlandese, zucchine tagliate fini, sedano, sesamo, zenzero e poi altro… ma che non posso dire perché sono ingredienti segreti…
Ridiamo insieme, l’appetito incombe, forse è meglio passare ad altro.
Ritornando alla Sua permanenza in Italia. Diceva che vive qui da più di 25 anni. Ormai è una persona conosciuta, affermata, un professionista a tutti gli effetti. Ci racconti della sua attività…
Insegno danza. Tutto qui
Beh non è poco…
Sorride
Come tanti altri giovani sono stato ispirato da Michael Jackson, un mito. Qui ho sviluppato la mia passione e adesso sono felice. Le dico però che non è stato facile per me, migrante di un altro mondo arrivare qui nel primo mondo.
È servita molta umiltà, continuità e forza di volontà.
Se devo essere sincero ho ricevuto molte soddisfazioni dal mio pubblico e questo mi ha dato la carica per crescere e diventare quello che sono oggi.
Quali difficoltà ha incontrato agli inizi dell’avventura italiana?
Le difficoltà sono state tante. Cominciamo innanzitutto dal mio paese. Cuba non accetta l’emigrazione illegale e così ho dovuto organizzarmi per ottenere tutti i documenti in regola e partire per l’Italia. Poi le differenze tra i due paesi sono notevoli. Qui ho notato la mancata conoscenza della mia nazione. La gente non mi individuava come cubano, mi scambiavano con altre etnie. Mi è capitato di entrare nei negozi per acquistare qualcosa e mi dicevano subito: “Qui non compriamo niente”. Ripensando a quelle situazioni oggi mi viene da sorridere.
Sorride e prosegue
Per una persona nata con certi principi e alcuni valori tradizionali non era facile. Erano cose che deprimevano un po’. Avrebbero potuto scoraggiarmi, ma non mi sono abbattuto. Ho pensato che non era colpa loro, queste persone erano parte della società e del mondo in cui stavo iniziando una nova vita ed in cui vivevo. Dovevo andare avanti e così ho proseguito per la mia strada.
Poi, in verità, è anche capitato che mi chiedessero scusa.
La fronte alta si increspa, chissà quante ne ha viste…
Parlava di principi e valori. A quali si riferiva?
Soprattutto ai valori culturali profondi. Alla cultura del rispetto e alla salvaguardia della famiglia. Due principi che si intrecciano, che viaggiano di pari passo.
Che tradotto in termini pratici…
Ad esempio il rispetto a tavola.
È a tavola che si parla, si discute, ci si confronta e si decide. Ovvero: il padre educa il figlio non con ostriche e champagne, sin da piccolo. Non si semina così, non è il modo per costruire rapporti solidi e non si costruiscono nemmeno persone forti.
Si semina per educare i figli, per concretizzare relazioni durature e costruire persone vigorose.
Il rispetto non si compra. Non è in vendita.
Potrei dire che: “Meno hai, meno preoccupazione hai” e forse anche, più rispetto ottieni…
Ci terrei anche a sottolineare che fra i principi personali non possono mancare una certa indole all’aiuto, una predisposizione alla disponibilità verso gli altri e al sacrifico.
Questi sono valori che ha portato con sé da Cuba, che poi ha trasmesso nella sua professione e tramanda alla sua famiglia?
Sì. Ringrazio la mia famiglia originaria cubana e la mia patria per i valori che mi hanno trasmesso. Mi hanno insegnato che, con i giusti principi, anche essendo la persona più povera del mondo, si può arrivare ad essere la persona più grande del mondo.
Ci vuole costanza e capacità di adattamento.
Qui in Italia ho notato che noi cubani cerchiamo di lavorare e integrarci. Siamo disposti “a fare fatica”. Non ci sono praticamente cubani che lavano vetri ai semafori o chiedono l’elemosina. Questo si chiama transculturazione: adattarsi e imparare a vivere dove la tua cultura non c’è.
Cosa rappresenta la famiglia per un cubano?
Per noi la famiglia è sacra.
I valori che ti insegnano i tuoi genitori sono quelli che ti porterai fino alla tomba.
Su questo non si discute. Inoltre, chi è nato negli anni sessanta (come me) è stato fortunato. Quella degli anni sessanta è stata un’epoca prodigiosa, un’età di grandi cambiamenti nel mondo, ma soprattutto a Cuba…
Ci dica…
È stato un momento storico, potente, perché nel mio paese c’è stata la rivoluzione la prima cosa che ha fatto subito dopo Fidel Castro è stata quella di sostenere i valori fondamentali della famiglia e dare istruzione gratuita alla sua gente. Educando un popolo con tutti i mezzi disponibili e consentiti, ha permesso a tutti, dai bambini agli anziani, di avvicinarsi al codice familiare. Abbiamo valorizzato e creato le radici di un paese e io racconto le origini della musica cubana. Un albero della vita.
Come incidono le radici e questi valori tradizionali sul suo lavoro?
Grazie ai miei genitori oggi posso applicare i valori che mi hanno trasmesso, anche nel mio lavoro. In questo modo tutto si muove bene, cerco di far funzionare al meglio il processo della mia vita e quella di chi mi sta vicino. Anche la mia scuola è diventata una famiglia. Certo, anche in una famiglia ci sono problemi, ma se le persone sono unite si possono fare imperi, come dico io. Bisogna però farla nascere, non si può crescere senza una nascita e quindi la base di tutto è quello che hai creato prima.
Se dopo 25 anni lavoro ancora e ho allievi che mi seguono da 18 o 20 anni vuol dire che ho saputo far nascere qualcosa e l’ho saputo mantenere.
Complimenti, e quindi oggi come ieri insegna ancora danza?
Sì. Finché le gambe mi reggono posso continuare. Spero di non appendere le scarpe al chiodo troppo presto come un calciatore, spero di ballare ancora.
Quali sono i suoi attuali rapporti con la madre patria?
La nostalgia è sempre tanta, ma non mi lamento, sono uno dei pochi migranti fortunati che riesce ad andare una volta all’anno a casa perché ci tengo a vedere ed aiutare la mia famiglia. È da 64 anni che il mio paese ha l’embargo e c’è molta povertà.
La mancanza e la malinconia delle proprie radici…
Sì, la mancanza e il pensiero per il mio paese. Coltivo questo amore anche con i miei allievi che conoscono la solidarietà verso gli altri. Mi sostengono negli aiuti alla mia gente e, quando possibile, cercano di venire a Cuba per conoscerla direttamente.
In questi suoi anni in Italia da chi ha avuto più supporto?
In 25 anni ho sempre avuto il sostegno dei miei allievi perché io sono una persona che non si risparmia nel suo lavoro e loro sono bravi.
Io cerco di svolgere la mia attività nel modo più corretto possibile, e, devo dire che non mi aspettavo altro da loro, perché anche i miei allievi sono persone corrette. Penso di avere portato più di 500 persone a Cuba e loro per primi mi hanno aiutato in molti modi con diversi tipi di contributi. Ad esempio con una matita, con il cibo, un libro per scuola, soldi direttamente per le persone…
Ho avuto anche amici e allievi che hanno contribuito per le feste dei 15 anni delle ragazze…
15 anni per le ragazze è una festa importante, non solo a Cuba ma anche in altri paesi del Sud America
Sì, infatti corrisponde alla vostra festa dei 18 anni. A Cuba, grazie a quegli aiuti, hanno potuto celebrarla anche persone che non avevano la disponibilità economica.
Maestro, qual è la domanda che non le hanno mai rivolto?
Ho una domanda nel cassetto che riguarda la mia pratica professionale.
Ci dica…
Cosa è nata prima? La musica o il ballo?
…risposta difficile. È come dire se è nato prima l’uovo o la gallina?
Sì, ma è difficile solo in un certo senso. Perché questa domanda, che è la più difficile da fare, porta con sé la risposta più facile.
Infatti non esiste nessun movimento del nostro corpo se le orecchie non vanno in funzione e perciò senza musica non si può ballare.
Cioè?
Non esiste una persona che balla senza sentire, bisogna sentire per ballare.
Su questo punto c’è differenza tra il mondo latino e quello occidentale?
Sì, certo. In occidente la gente vuole vedere per ballare, vuole vedere il passo, chiede di imparare i passi e li conta. Infatti da voi c’è un programma che si intitola “Ballando con le stelle”. Ma le stelle quando ballano? Le stelle non ballano, cadono. Ecco perché c’è una differenza tra la danza e il ballo.
Per me ballare è la cosa più bella che si può insegnare ad un bambino perché non ha la consapevolezza di quello che sta facendo, ma si sta muovendo comunque e in qualsiasi modo perché sta sentendo. Questo significa che sente un suono e si muove. E questo è il ballo più bello che c’è.
Quindi qual è la bellezza del ballo?
La bellezza del ballo è la mancanza della consapevolezza di quello che sto facendo, questo è il ballo più bello che c’è.
Perciò, ritornando a prima: Quali sono le stelle che devono ballare? I bambini, perché sono i migliori a ballare.
Quindi anche la cultura, in questo caso del ballo, parte dai bambini…
Sì, perché i bambini non rinunciano, non mollano, non cedono il passo. Lo sentono. Ballano inconsciamente e non contano i passi. Infatti si dice che quello che vede meglio è il cieco, perché con il tatto riesce a vedere quello che noi, con gli occhi, non riusciamo a toccare.
Ritorniamo al Suo paese. Come descriverebbe Cuba in poche frasi?
Cuba è un caimano barbuto
Prego… perché?
Perché Cuba è verde e ha un popolo guerriero.
Un popolo capace di affrontare qualsiasi avversità della vita e non si arrende di fronte a niente. Questo è quello che ci ha insegnato un leader: il Comandante Fidel Castro.
Noi cubani siamo stati colonizzati nel 1492, poi nel 1898 abbiamo subito la guerra di secessione e nel 1910 siamo diventati una neo colonia, ovvero abbiamo subito la seconda colonizzazione fino al 1959. Questo finché l’avvocato Fidel Castro (che aveva la barba) ha deciso di fare una rivoluzione contro la tirannia di Batista. Da quel momento il nostro popolo si è incamminato in un percorso di istruzione e di sanità pubblica che gli ha permesso di riprendere la propria dignità.
È vero che i cubani sono famosi, anche, per i loro proverbi?
Sì, vero.
Ne dica uno…
Ogni giorno ci lamentiamo degli acciacchi quotidiani che sembrano non finire mai…
Giusto, quindi?
…e quindi: “Non c’è male che dura 100 anni, né corpo che resiste” in pratica non c’è corpo che resiste 100 anni ai nostri mali quotidiani…
Altro?
Sì. Ci sarebbe un altro proverbio o come si suol dire un aforisma personale…
Prego…
Riguarda il mio lavoro. Quando balliamo noi uomini proponiamo, lanciamo idee, ci diamo da fare, ma non possiamo essere sicuri, non abbiamo certezze.
Quando abbiamo sicurezza e tranquillità? La sicurezza ci viene quando abbiamo di fronte la nostra donna. La nostra dama.
Guardandola abbiamo la certezza che quello che facciamo va bene, che quello che stiamo proponendo è sicuro. E questo ci dà forza, convinzione, tranquillità, fiducia. Senza le donne non siamo niente. Loro hanno un sesto senso, noi maschi siamo rimasti al quinto.
Grazie maestro per il tempo dedicato e le conoscenze che ci ha trasmesso, buon lavoro!
Foto by Gianni Favale
Per leggere l’articolo in spagnolo: https://raffaeled25.sg-host.com/cuba-la-danza-el-baile-y-mucho-mas-entrevista-exclusiva-al-profesor-de-baile-cubano-yoel/