Con la fine del governo Draghi si conclude, forse, anche quello straordinario equivoco che negli ultimi anni, quanto meno dal governo Conte II, è stata la possibile alleanza strategica fra PD e Movimento 5 Stelle. L’aveva già immaginata Zingaretti, all’epoca segretario del PD, dietro suggerimento di Goffredo Bettini, e insieme l’avevano poi teorizzata così bene da pensare che Giuseppe Conte avrebbe dovuto diventare il nuovo leader politico del centro-sinistra.
Qualche dubbio in proposito doveva sorgere già quando lo stesso Conte, apprendendo la buona novella, ma non volendo limitarsi elegantemente all’esprimere profonda gratitudine, aveva avanzato il dubbio che forse sarebbe stato meglio definire la cosa come “alleanza progressista” (forse “centro-sinistra” gli pareva una scelta di campo troppo precisa!). Poi con l’arrivo di Letta alla guida del PD, si era passati all’idea di “campo largo”, memore com’era il Letta minor (essendo il major il ben più navigato zio) della fulgida esperienza dell’Ulivo prodiano.
Del resto, “campo largo” stava a significare qualcosa di più, un terreno di gioco sul quale non era così necessario riconoscere ai grillini quel ruolo di sparring partner che in primo luogo non sembrava essere così gradito allo stesso interlocutore, ancora profondamente dibattuto fra il culto di un’alterità ormai rinnegata dagli stessi elettori e l’accettazione recalcitrante di un’appartenenza di schieramento resa necessaria dalla crisi di consensi e dalla volontà di continuare a svolgere un ruolo da protagonista.
Qualcuno si era azzardato ad avanzare serie perplessità, convinto dall’alone di vacua indeterminatezza che ancora aleggiava intorno ai 5 Stelle, movimento alla perenne ricerca di un’identità, dal quale continuava a rifuggire, convinto com’era che il suo punto di forza fosse il fatto di non farsi inquadrare all’interno delle abituali e desuete categorie della politica. Come si fa ad allearsi in maniera stabile e duratura, allo scopo di costruire il centro-sinistra del futuro, con una forza politica che non solo non sa ancora che cos’è ma ritiene che in fondo sia meglio continuare a non saperlo?
Del resto, le difficili trattative per la costruzione di alleanze locali da presentare alle elezioni amministrative, davano chiaramente l’idea di quanto i pentastellati, a cominciare dal suo azzimato leader, Conte, fossero ancora personaggi in cerca di autore. Ma agli scettici si rispondeva che non avevano capito nulla, perché lo spirito del MoVimento era profondamente di sinistra.
Oggi, che con il non voto al governo Draghi, i 5 Stelle hanno finalmente compiuto il loro personale periplo di questa legislatura, tornando là dove l’avevano iniziata, al fianco della Lega di Salvini, del campo largo resta ben poco. Qualcuno si affatica ancora a utilizzare il termine secondo nuove convenienze, cercando di individuare al centro nuovi potenziali protagonisti di quel campo. Ma nel frattempo il campo largo si è trasformato in una sorta di campo santo, dove giacciono sotto tante lapidi di una goffa Spoon River, tutte le buone ma ingenue intenzioni che figuravano di costruire il futuro del paese sul nulla.