L’annuncio del presidente Donald Trump sul ritiro degli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi sul clima non è soltanto un passo indietro, ma una resa di fronte alla più grande sfida globale della nostra epoca. Mentre gli incendi devastano Los Angeles e Valencia e la siccità mette in ginocchio i territori, la più grande economia del pianeta decide di abbandonare la nave, lasciando dietro di sé un vuoto devastante.
Una minaccia per la Terra
Questa decisione rappresenta un tradimento delle nuove generazioni e una dichiarazione di disinteresse verso il pianeta e le comunità più fragili, che già pagano il prezzo di decenni di politiche scellerate. È un messaggio pericoloso che minaccia di scardinare la fragile rete di cooperazione internazionale costruita per arginare il cambiamento climatico. Gli Stati Uniti, storicamente il maggiore responsabile delle emissioni globali, non possono permettersi di rinnegare il loro ruolo guida. Ma Trump incarna un’ideologia che mescola negazionismo climatico e mire espansionistiche, come dimostra l’idea di riportare Panama nell’alveo Usa. Un progetto che richiama inquietantemente le politiche di potenza territoriale già messe in atto da Vladimir Putin.
La tecnodestra
La deriva politica si riflette anche nelle ambizioni di figure come Elon Musk, il quale, pur promuovendo l’innovazione sostenibile, alimenta l’illusione di un progresso senza regole, privo di un’effettiva trasformazione sociale e politica. Ma il cambiamento climatico non si combatte con slogan o autocelebrazioni: servono politiche coraggiose, visione strategica e una leadership capace di guidare il mondo fuori dalla crisi.
La politica dei dazi
Sul fronte economico, la visione di Trump rischia di creare ulteriori tensioni globali. La sua politica dei dazi, che colpisce settori vitali del commercio internazionale, potrebbe paralizzare i mercati, aggravando le già precarie condizioni economiche di molte nazioni. Un mondo frammentato da interessi unilaterali diventa un mondo incapace di rispondere alle emergenze globali, prima fra tutte quella climatica.
La siccità e la risorsa idrica
Nel frattempo, la realtà continua a bussare alla porta. Gli eventi atmosferici estremi sono ormai la norma: inondazioni, uragani, ondate di calore e una siccità che compromette una delle risorse più preziose del pianeta, l’acqua. La gestione idrica è diventata una questione di sopravvivenza. I fiumi si prosciugano, le riserve idriche si esauriscono e la distribuzione dell’acqua è sempre più incerta, minacciando la sicurezza alimentare e la stabilità sociale. Ogni giorno perso nell’agire aggrava un bilancio umano e ambientale già insostenibile.
I pericoli per l’Italia
A rendere il quadro più cupo è la deriva che rischia di investire anche l’Italia, con la premier Giorgia Meloni che ha apertamente sostenuto Trump. Questo legame rappresenta un pericolo concreto: il nostro Paese, già segnato da disastri climatici come alluvioni e siccità, potrebbe trovarsi su una strada altrettanto miope, mettendo a rischio il suo fragile patrimonio naturale e la sicurezza delle future generazioni.
La via d’uscita
Ma c’è una via d’uscita. In questo contesto di incertezze e minacce globali, l’Europa ha l’occasione di riaffermare la propria centralità e dettare l’agenda internazionale. È il momento di uno scatto d’orgoglio: una politica climatica ambiziosa e un impegno per la giustizia sociale possono trasformare il vecchio continente in un faro di speranza. L’Europa deve assumersi il compito di dettare l’agenda e guidare il mondo verso un futuro sostenibile, ribadendo che il progresso non si misura solo in termini di ricchezza, ma nella capacità di garantire un domani a chi verrà dopo di noi.