È diffusa la preoccupazione in Europa sui prezzi che la nuova Amministrazione USA farà pagare agli Stati dell’Unione per continuare ad assicurare loro alcuni dei vantaggi che la tradizionale alleanza fra le due sponde dell’Atlantico garantisce.
È una preoccupazione fondata, alla quale però la UE può rispondere con efficacia se saprà muoversi unitariamente, valorizzando i propri punti di forza. Al contrario, se prevarranno le divisioni e le logiche nazionaliste per Trump – che come noto non considera la UE nel suo insieme e adotta le dinamiche commerciali della trattativa bilaterale, quindi un approccio relazionale con i singoli Stati – sarà assai facile ottenere quanto si è proposto di conseguire.
Come noto, i principali nodi sui quali il Presidente americano vuole sviluppare la propria pressione, da subito, sono i dazi commerciali e le spese militari necessarie a conferire potenza alla NATO. La sortita sulla Groenlandia, peraltro ribadita, sembra, invece, una provocazione utile per alzare il prezzo nella contrattazione. Invadere lo Stato dei ghiacci significherebbe aprire un fronte di guerra con la Danimarca e dunque con l’UE, oltre che interno alla stessa Alleanza Atlantica. Sembra un’abnormità anche considerando l’imprevedibilità di Trump. È pur vero, al tempo stesso, che non si sa ancora esattamente come i radical-conservatori che hanno preso il posto del tradizionale conservatorismo compassionevole del vecchio Partito Repubblicano americano vogliano tradurre le proprie idee radicali in azioni politiche e quindi occorre essere pronti a tutto.

Ma, rimanendo a dazi e costi per la difesa, l’Europa ha buone argomentazioni per non lasciarsi intimorire oltre modo dalla posa aggressiva del tycoon newyorchese. A cominciare dalla propria forza economica, linguaggio che un immobiliarista come Trump apprezza e conosce bene. Quello europeo rimane il mercato più ricco al mondo, oggetto di enorme interesse per il grande competitor planetario degli Stati Uniti, la Cina, come dimostrato con il gigantesco investimento nella Belt & Road Initiative che proprio nel vecchio continente ha i suoi punti di approdo.
Dunque se da un lato la Casa Bianca vorrà diminuire lo sbilancio commerciale oggi a suo svantaggio (in particolare con paesi come il nostro), dall’altro non potrà alla prova dei fatti (anzi, dei numeri) esagerare con le ritorsioni, pena il rischio di lasciare spazi enormi al rivale cinese, forte di prezzi concorrenziali e di una qualità di prodotto non più solo – come era in passato – di basso livello.
Restano però i punti di debolezza del vecchio continente. Non pochi e non marginali. Ben noti ma semplicemente citati e mai affrontati.
Una Unione che non riesce proprio a divenire politica e che anzi si sta indebolendo a fronte della crescita pressoché in ogni suo Stato di movimenti e partiti nazionalisti. L’assenza conseguente di una politica estera comune e di una difesa comune, nonostante un impegno di spesa per quest’ultima assolutamente rilevante, ma frazionato e privo di ogni possibile economia di scala. La triste constatazione di non avere più alcuna azienda continentale ai vertici mondiali delle nuove tecnologie che stanno marcando la rivoluzione digitale del nuovo secolo. La confermata difficoltà nella gestione comune del fenomeno migratorio (che non è destinato ad estinguersi, a fronte di guerre e carestie sempre purtroppo attive in Africa) e dei suoi influssi sulle opinioni pubbliche continentali.
E da ultimo la guerra ai propri confini, che alla UE è già costata 200 miliardi, che sarebbero stati totalmente inutili se non vi fosse stato il ben più rilevante impegno americano a difesa dell’Ucraina invasa. Ora però il nuovo Commander in Chief la vuole far finire, ma trattando direttamente lui con Putin lasciando Bruxelles ai margini e intimando a Kyiv una sorta di resa, da quello che par di capire. Accollando poi all’Unione i costi della ricostruzione.
Un contesto generale, umiliante per l’Europa e francamente inaccettabile, nel quale dazi al 10/15/20 per cento farebbero ulteriore male. E un contributo al 3,5/4 per cento del PIL per le spese NATO pure (Trump è un affarista, per cui ha lanciato la provocazione del 5% per poter trattare comunque una percentuale ben superiore al 2% stabilito oltre dieci anni fa e adempiuto da pochissimi paesi europei).
Ma ciò che affosserebbe l’Unione più di ogni altra cosa sarebbe l’accettazione nei fatti della logica bilaterale di Trump, l’accordo di ciascun singolo Stato con l’ingombrante alleato d’oltre oceano. Una tentazione già presente, molto forte in alcuni paesi (a cominciare da quelli orientali, Polonia in testa) che la Casa Bianca cercherà di allettare. È questa, ora, la sfida principale per Bruxelles. Fin dalle prossime settimane.