Con il suo quinto album in studio, Blackbirds And The Sun Of October, Federico Albanese si prepara a incantare nuovamente il pubblico, segnando il suo debutto sulla lunga distanza con la prestigiosa XXIM Records, sub-label di Sony Music. Dopo il successo dell’EP Days Of Passage nel 2023, il compositore e pianista italiano torna con un lavoro ispirato al Monferrato, esplorando temi profondi come il ritorno, la riconnessione e l’eredità. In questa intervista esclusiva, Albanese racconta il processo creativo dietro l’album, la continua ricerca di nuovi suoni e come questo progetto rappresenti un punto di svolta nella sua carriera.
1. Federico, bentornato a casa! Questo tuo nuovo album sembra un vero e proprio omaggio al Monferrato. Cos’ha rappresentato per te questo ritorno alle origini, sia come artista che come persona?
Grazie! Guarda Il Monferrato in realtà l’ho scoperto da qualche anno, io sono nato e cresciuto a Milano. Da anni ho un rapporto speciale con il Piemonte ma questa zona in particolare non la conoscevo ma è diventata ormai parte di me anche dopo poco tempo. Sai dopo tanti anni a produrre musica in una città ed un paese estero, tornare a casa in Italia è stata una gioia. Nel ritrovare piccole cose quotidiane, nell’aver intorno un mondo che conosci, familiare, semplice. Specialmente in piccoli luoghi di campagna si respira ancora un’atmosfera passata, quasi di un mondo che non c’è più. Arrivando poi da Berlino, una città che è cambiata radicalmente nel giro di pochi anni, tornare in un luogo in qualche modo ancora fermo nel tempo, mi ha fatto tornare ad amare certe cose che avevo quasi dimenticato.

2. Il titolo dell’album, “Blackbirds And The Sun Of October”, evoca un’immagine poetica e quasi cinematografica. Come è nato questo titolo? È stato un colpo di fulmine o il risultato di una lunga riflessione?
L’hai detto bene tu, un colpo di fulmine. Quando mi sono messo a lavorare al disco, scrivere, riflettere, era l’autunno del 2022. In campagna è una stagione magica, una luce particolare si riflette e traccia questi colori unici, sfumature di rosso, giallo. Una pace dei sensi. Il sole di Ottobre é davvero qualcosa di indescrivibile a parole. Stavo lavorando a un pezzo, e avevo con me solo pochi elementi oltre al piano, il resto era nel mio studio a Berlino. A parte il piano avevo portato un drum kit, più che altro per mio figlio che suona la batteria, un basso e una chitarra. Niente synth o roba elettronica, tutto organico. Alla fine è venuto fuori questo pezzo un po’ tra il blues e lo swing, con influenze strane e all’inizio ti confesso che non ero convinto, mi sembrava fuori tema, ma poi ha iniziato a piacermi sempre di più. La verità è che mi son sentito come più libero di esprimermi, come se avessi tenuto certe idee segrete per anni, e alla fine questo brano è diventato la title track del disco, ricordo del sole di ottobre da dove tutto è partito.
3. Parli spesso di libertà creativa. Quanto ti ha influenzato il paesaggio del Monferrato nella scrittura di questo album? Hai mai avuto il timore di non riuscire a catturare in musica la bellezza che avevi intorno?
Guarda hai colpito nel segno. È stato un processo complicato all’inizio. La preoccupazione era come fare a produrre “bellezza” quando è già tutt’intorno a me. Io ero abituato a scrivere musica pensando e trovando ispirazione altrove. Per quanto Berlino sia una città meravigliosa per tanti aspetti, di certo non rappresenta la bellezza per come la posso intendere io. Tutti i miei album precedenti sono stati in qualche delle forme di evasione, quindi io ero abituato nella scrittura a rivolgere l’attenzione non nel qui e ora ma da qualche altra parte. Pur combattendo all’inizio ad un certo punto ho capito che questa meraviglia intorno a me era lì aspettando di essere descritta, era lei stessa l’ispirazione. Una consapevolezza che ho raggiunto, credo, grazie al fatto di essere tornato in luogo più familiare in cui di fatto stavo bene, e mi sentivo più libero di esprimermi.
4. Nel disco si sente il profumo delle stagioni, della storia e delle leggende del Monferrato. Come sei riuscito a mescolare queste ispirazioni così diverse con la tua ricerca musicale, sempre in evoluzione?
Quando inizio a lavorare ad un disco si crea una sorta di strana energia, quasi frenetica e incontrollabile che mi porta spesso in luoghi nuovi, idee nuove. La storia e i miti di questa zona mi hanno affascinato fin da subito, ricordo un amico caro nobile piemontese il quale mi raccontò dettagliatamente la storia unica di Aleramo e Adelasia che non conoscevo. Andai poi a visitare la tomba di Aleramo e scoprii nuovi dettagli di storie meravigliose, certo romanzate e forse in parte leggendarie ma un fondo di verità c’è sempre. Quindi ho iniziato a ragionare sul come fondere questa nuova conoscenza e ispirazione in musica, e di fatto è successo tutto con estrema facilità, come se questi brani fossero già stati scritti, centinaia di anni. Come se avessi trovato un libro di musiche e storie antiche e dimenticate seppellito da secoli e lo avessi riportato in vita.
5. Uno dei brani, “The Prince And The Emperor”, si ispira alla storia di Aleramo e Ottone I. Come hai scelto di raccontare musicalmente una leggenda così antica?
Perché è qualcosa di davvero speciale, mi stupisce che non ci abbiano ancora fatto un film. È una storia che mi appassionato anche perché racconta di come è nato questo luogo così unico, un luogo che mi ha accolto a braccia aperte e regalato grandissima ispirazione.

6. Tra composizioni classiche e influenze contemporanee, in questo album troviamo anche elementi nuovi per te, come la batteria. Quanto è stato liberatorio sperimentare con questi nuovi linguaggi?
Come dicevo prima, tante cose nuove in questo album, dalla batteria, chitarre…ma anche il piano solo pensato e lavorato in un certo modo, cosa finora ancora non esplorata a pieno. Ripeto, quel senso nuovo di libertà, il sentirsi a casa, cosa che non accadeva da molti anni. Una sensazione che mi ha travolto e mi ha dato grande gioia e desiderio di mettermi in gioco e esplorare nuovi lidi.
7. Dopo anni a Berlino, una città piena di energia e stimoli, il Monferrato ti ha dato qualcosa di diverso, una serenità più profonda. È questa la positività che percepiamo nel disco?
La penso allo stesso modo, questo ha delle note più positive dei precedenti. La musica per me è sempre stata lo specchio della vita, dell’esperienza vissuta e qui si percepisce un cambiamento, una serenità profonda come dici tu. C’è un altro ritmo qui, i giorni sono più lunghi e scorrono lentamente. Più tempo per riflettere, camminare, osservare.

8. Ci sono brani come “A Story Yet To Be Told” o “Song For The Village” che trasmettono una dolcezza unica, quasi fragile. Quanto della tua vita personale è entrato in queste composizioni?
Moltissimo, in particolare, ci hai azzeccato, questi due brani dicono tanto sul mio stato d’animo personale. Avevo il desiderio di raccontare delle storie semplici, dirette. Come la semplicità di questo luogo e forse la leggerezza che io stesso provavo dentro nell’essere qui.
9. Guardando indietro alla tua carriera, dai primi album fino a oggi, cosa senti di aver portato con te da Berlino e cosa hai lasciato per abbracciare il Monferrato?
Berlino è sempre con me, ho ancora lo studio, tanti amici cari, tutto il mio team di lavoro, sono lì per metà o quasi. È la città che mi ha dato tutto, che mi ha aperto le porte e accolto nel lontano 2012. È un luogo che mi porterò dietro per sempre. Il Monferrato è un’altra faccia della medaglia, è un luogo in cui il ritmo è più lento, in cui ci si può prendere tempo per riflettere, osservare, plasmare nuove idee senza distrazioni. Alla fine penso che se sono arrivato qui, è parte di un processo di crescita artistica e personale. Io sono una persona dinamica, mi piace cambiare, muovermi. Ho tre figli e mi piace l’idea di fargli vedere il mondo, fargli conoscere culture diverse, e chissà dove saremo al prossimo disco!
10. Infine, un’immagine: i merli e la luce d’autunno. Se dovessi spiegare a chi non conosce il Monferrato perché questo luogo è così speciale, cosa gli diresti?
La pace, i colori, l’animo gentile delle persone, l’empatia, la storia, il cibo. E poi dai, la campagna italiana è una meraviglia.