Intervista esclusiva
Nell’affascinante mondo dello shoegaze, psych, e post-punk, i Clustersun emergono come una delle band di spicco, non solo in Italia ma anche all’estero. Con un sound che unisce maestosamente pareti sonore imponenti, riverberi profondi, suggestioni psichedeliche e le dilatazioni dello space rock, il loro lavoro riflette l’influenza di molte icone musicali, tra cui My Bloody Valentine, Ride, Slowdive, The Jesus And Mary Chain, The Brian Jonestowne Massacre, Spacemen 3, Spiritualized, The Black Angels, Dead Skeletons, Singapore Sling, The Telescopes, e A Place To Bury Strangers.
In un periodo in cui la musica ricerca nuove strade e il pubblico si apre a sonorità più sperimentali ed evocative, i Clustersun si ergono come pionieri, rappresentanti autorevoli di un genere che continua a evolversi, attirando sempre più ammiratori affamati di viaggi sonori intensi e coinvolgenti. Con la loro abilità nel creare atmosfere eteree e suggestive, i Clustersun si affermano come veri e propri ambasciatori di un suono cosmico che continua a incantare un pubblico sempre più vasto, confermandosi come una delle band più innovative e incisive della scena musicale contemporanea.
La band, composta dal trio catanese Marco Chisari (voce e basso), Mario Lo Faro (chitarre) e Andrea Conti (batteria), è attualmente immersa in un acclamato tour europeo a supporto del loro ultimo capolavoro discografico, “Avalanche“, uscito nel maggio del 2021 tramite Icy Cold Records (FR) e Little Cloud Records (US).
National Daily Press ha avuto il piacere di intervistarli:
1) Il vostro sound è spesso descritto come una miscela unica di influenze shoegaze, psych e post-punk provenienti da diverse band. Come avete lavorato per elaborare queste influenze e trasformarle in qualcosa di vostro e distintivo?
Queste tre matrici sonore rappresentano la parte principale del nostro background come ascoltatori e appassionati di musica, prima ancora che come musicisti. La sfida per noi è stata provare a miscelare queste coordinate sonore per ottenere una sintesi fresca, personale, in cui sia possibile riconoscere le influenze di partenza ma il cui esito sia l’approdo in un territorio nuovo, solo nostro, che rappresenta la vera voce dei CLUSTERSUN. Questo processo di sintesi si compie in una maniera istintiva, quasi primordiale, attraverso l’interplay tra noi tre: non usiamo schemi, metodi o soluzioni preordinate, ma lasciamo che il flusso spontaneo del suonare insieme ogni volta che ci ritroviamo per provare, lasci fluire un gioco di azioni e reazioni reciproche, che poi si trasformano nel nostro linguaggio musicale.
2) Avalanche, il vostro ultimo album, ha ricevuto recensioni molto positive sia in Italia che all’estero. Qual è stato il processo creativo dietro a questo album e come avete collaborato con James Aparicio, mixer producer, tra altri, dei Depeche Mode e Nick Cave?
Siamo davvero contenti e grati per l’impatto di Avalanche. È sicuramente l’album che meglio ci rappresenta nelle intenzioni, nel songwriting e nella materia sonora: vederlo così compreso ed apprezzato da critica e pubblico è stato davvero un dono.
Il processo creativo, così come già per i due precedenti album, è interamente basato sull’interplay in sala prove di cui dicevamo poc’anzi. Tutti i nostri brani sono sempre stati figli di lunghissime jam in sala, dove i nuclei dei pezzi prendono vita e vengono sempre più affinati in un processo che può anche durare mesi, fino alla loro forma definitiva. È un metodo nel quale crediamo molto, e che ci consente di mantenere sempre una dimensione di massima spontaneità creativa.
A livello di suono, poi, l’intervento di James Aparicio, che ha curato il mix ed il mastering, è stato decisivo. Conoscevamo il lavoro eccezionale che aveva svolto con Spiritualized, Mogwai, Depeche Mode, Nick Cave, Liars, Throw Down Bones, Cult Of Dom Keller, Rev Rev Rev e gli abbiamo dato praticamente carta bianca, certi che avrebbe fatto suonare questo disco nella maniera più esplosiva e impattante possibile. Infatti le nostre aspettative, già altissime in partenza, sono state superate di gran lunga: James ha plasmato un suono maestoso, allo stesso tempo restituendo una fotografia perfetta della nostra attitudine live. Senza giri di parole, lui è uno che fa la differenza.
3) Avete menzionato l’importanza delle vostre liriche, descritte come un mix di rabbia, melancolia, visioni oniriche e fragilità emotiva. Quali sono le fonti di ispirazione principali dietro ai testi delle vostre canzoni?
In realtà non esistono delle fonti di ispirazione ben definite; nei testi cerchiamo di esprimere stati d’animo, spinte emotive e soprattutto cerchiamo fortemente il confronto tra l’uomo, immerso tra le sue paure e speranze, e la Natura, a volte complice e confortante e a volte cruda e impietosa, sia protagonista che spettatrice delle vicende umane. Prendiamo più che altro ispirazione da ciò che ci circonda, dalle persone che incontriamo nel nostro percorso; ognuno di noi ha tante storie da raccontare, ma noi preferiamo cogliere e tradurre in musica l’effetto di un raggio di sole che colpisce il tuo volto per un secondo attraverso una coltre di nuvole.
4) Come vi sentite riguardo al vostro tour europeo attuale? Ci sono state esperienze o momenti particolarmente memorabili finora durante questa tournée a supporto di Avalanche?
Siamo appena entrati nel secondo anno e mezzo di tour dall’uscita di Avalanche, ed è un risultato davvero eccezionale in termini di portata e persistenza dell’album, ancor più rilevante considerato che adesso sembra necessario dover uscire sempre con musica nuova, spesso anche solo con singoli sparsi qua e là, per rimanere sulla cresta dell’onda e avere l’opportunità di proporsi dal vivo.
Abbiamo la fortuna di suonare davvero tanto in tutta Europa, oltre che in Italia, e questo non ha fatto altro che riempire la nostra valigia di momenti emozionanti, intensi, divertenti, pazzi e incredibili, al punto che diventa difficile scegliere i più significativi. Sicuramente sarà impossibile dimenticare l’adrenalina di trovarsi su palchi leggendari come quello del Supersonic di Parigi, stipato di gente fino all’inverosimile, o al meraviglioso Simplon di Groningen; o ancora suonare in una chiesa trasformata in splendida e avanzatissima sala concerto, sperduta nei boschi al confine tra la Repubblica Ceca e la Polonia, per lo Psychedelic Umami Festival, o trovarsi in un piccolo paesino della Francia ad espletare in un bagno dove ovviamente manca il bidet, ma in compenso hai un organo con due tastiere manuali, una a pedale, e corredo completo di registri, posizionato davanti alla tazza! Insomma potremmo scrivere un libro, forse due, con gli aneddoti da tourlife!
5) Avete avuto l’opportunità di suonare sia in Europa che negli Stati Uniti e di partecipare a varie compilation di etichette importanti. Come pensate che queste esperienze abbiano influenzato la vostra musica e la vostra identità come band?
Suonare all’estero ed in generale confrontarsi con band, etichette, promoter e realtà organizzative straniere è una occasione di crescita, musicale e più in generale umana, senza pari. A maggior ragione se si propone, come nel nostro caso, musica che è parte del patrimonio culturale di quei Paesi o in essi viene vissuta e fruita in maniera più viscerale e appassionata. Il nostro modo di comporre, di suonare, di stare sul palco, di rapportarci con gli altri player di settore è oggi, indubbiamente, il frutto dell’esperienza maturata suonando negli Stati Uniti e in Europa.
6) In passato avete pubblicato due album, Out Of Your Ego nel 2014 e Surfacing To Breathe nel 2017. Come pensate che la vostra musica e il vostro approccio creativo siano evoluti da quegli album fino ad Avalanche?
Come dicevamo prima, fondamentalmente il nostro approccio creativo è rimasto immutato dai tempi del primo album, molto legato alla chimica che si crea in sala prove. Ciò che essenzialmente è cambiato nel tempo è stato l’approccio al sound che caratterizza i nostri nuovi lavori, frutto di un’evoluzione naturale e di tantissimi ascolti di innumerevoli band della scena neo-psych. Da qui la ricerca di sonorità più aggressive e spigolose rispetto ai primi lavori, un’evoluzione sempre costante e che chiaramente confluirà anche nei nuovi brani in procinto di essere registrati.
7) La realizzazione della copertina del vostro album è stata affidata a Marco Baldassari selezionato da Best Art Vinyl Italia come il fautore di una tra le migliori opere del 2019, com’è nata la collaborazione con lui?
Assieme a James, l’altro grande “nume tutelare” di questo album è proprio l’autore del dipinto raffigurato in copertina: Marco Baldassari, tastierista e membro fondatore dei Sonic Jesus, nonchè artista ispiratissimo. è stato tramite la passione per i Sonic Jesus, infatti, che abbiamo scoperto la produzione pittorica di Marco, rimanendone totalmente affascinati. Così gli abbiamo inviato il master di “Avalanche” pochi giorni dopo averlo ricevuto da James, per chiedergli di poterlo “vestire” con un’opera tra quelle che aveva già realizzato e che sentiva potesse rappresentare visivamente al meglio il disco. Marco invece ha schiacciato play, ha preso tela e pennelli e ha dipinto di getto questa opera meravigliosa e potente, lasciandosi ispirare dal flusso sonoro dei brani di “Avalanche”. Appena ci ha mandato la foto del quadro l’emozione è stata indescrivibile: avevamo la copertina perfetta!
8) In che modo pensate che la vostra musica possa continuare a evolversi nel panorama musicale shoegaze/psych/post-punk? Avete nuove direzioni o esperimenti che state considerando per il vostro prossimo lavoro?
Proprio in questi giorni stiamo chiudendo le pre produzioni dei nuovi brani e ci prepariamo ad entrare finalmente in studio per registrare il nuovo album, con l’intenzione di spingere ancora oltre l’asticella del songwriting e del suono. Siamo fieri di aver prodotto, finora, tre album dalla forte identità ma diversi l’uno dall’altro. Anche in questo caso non abbiamo intenzione di cadere nella tentazione di replicare pedissequamente le soluzioni che hanno decretato l’ottima riuscita di Avalanche, ma di espanderne più possibile le formule: ad esempio ripristineremo in alcuni episodi l’utilizzo dell’elettronica, abbandonata da “Surfacing To Breathe” in poi.
Insomma, c’è tanta roba interessante che bolle in pentola e non vediamo l’ora di poter cominciare a rivelare di più!