La tragedia va in scena
Stoccolma, inverno del 1650. Il vento gelido sferzava le strade deserte mentre René Descartes, il grande filosofo e matematico francese che noi conosciamo come Cartesio, percorreva ogni mattina il tragitto verso la reggia della regina Cristina di Svezia. Era un uomo immerso nei suoi pensieri, ma anche segnato dai rigori del clima nordico. A febbraio, i primi sintomi di una malattia subdola iniziarono a manifestarsi.
Nel giro di pochi giorni, il filosofo spirò, lasciando un vuoto enorme nel mondo del pensiero. Per secoli, la causa del decesso fu attribuita a una polmonite. Ma la verità, come spesso accade, si celava nell’ombra.
Una scoperta sorprendente
Fu solo verso la fine del Novecento che alcuni studiosi iniziarono a mettere in dubbio la versione ufficiale sulla morte del filosofo. Nel 1996, lo storico tedesco Eike Pies pubblicò un libro destinato a suscitare scalpore: Il delitto di Cartesio. Documenti, indizi, prove.
Secondo Pies, il filosofo fu avvelenato con arsenico, un veleno subdolo e difficile da rilevare, somministratogli da un uomo che avrebbe dovuto rappresentare la fede e la virtù: François Viogué, un frate agostiniano inviato dalla Chiesa cattolica come missionario alla corte di Stoccolma. Il suo compito ufficiale era nobile: convertire la protestante regina Cristina al cattolicesimo. Tuttavia, le sue azioni furono tutt’altro che pie.
La lettera decisiva
La svolta nelle indagini di Pies arrivò con una scoperta straordinaria negli archivi dell’Università di Leida.
Qui, lo storico trovò una lettera scritta da Johann Van Wullen, il medico di corte che assistette Cartesio nei suoi ultimi giorni. Nella lettera, Van Wullen descriveva dettagliatamente i sintomi della malattia: emorragie allo stomaco, vomito scuro e tracce di sangue nelle urine.
Questi segnali non erano affatto compatibili con una polmonite, ma si adattavano perfettamente a un quadro di avvelenamento dell’arsenico.
La lettera si concludeva con un dettaglio ancora più inquietante: un post-scriptum in cui Van Wullen avvertiva il destinatario di custodire gelosamente lo scritto e di non farlo cadere nelle mani di estranei.
Perché tanta segretezza? Quale pericolo si nascondeva dietro quella morte?
Il fanatismo di Viogué
Le teorie di Pies trovarono ulteriore conferma nelle ricerche di Theodor Ebert, un altro studioso tedesco che scavò nel mistero per anni. Secondo Ebert, François Viogué era convinto che Cartesio rappresentasse una minaccia per il suo compito. Gli insegnamenti illuminati del filosofo, basati sulla ragione e sul pensiero critico, stavano affascinando la giovane regina Cristina. Questo fatto rischiava di compromettere il piano della Chiesa cattolica di portare la regina Cristina nel grembo del cattolicesimo.
Viogué avrebbe quindi agito per eliminare la fonte del problema. E quale occasione migliore di una messa celebrata nella piccola cappella dell’ambasciata francese?
Qui, durante la comunione, sarebbe stato facile avvelenare l’ostia destinata a Cartesio con una dose letale di arsenico, pari a soli 0,1 grammi.
Gli ultimi giorni
Nei suoi ultimi momenti, Cartesio sembrava intuire che qualcosa non andasse. Chiese del vino con tabacco, un rimedio usato per indurre il vomito, ma il veleno aveva ormai fatto il suo corso. A peggiorare la situazione fu proprio Viogué, che si rifiutò di concedergli l’estrema unzione, dichiarando – secondo quanto riportato da Ebert – di volerlo “spedire all’inferno”.
Cartesio morì dopo giorni di agonia, l’11 febbraio 1650, con sintomi che oggi sappiamo essere compatibili con l’avvelenamento da arsenico.
Un intrigo silenzioso
Il delitto non si fermò con la morte del filosofo. Viogué avrebbe successivamente giocato un ruolo cruciale nel far bandire gli scritti di Cartesio dalla Chiesa, un atto che fu ufficializzato nel 1663.
Il suo obiettivo era chiaro: cancellare non solo l’uomo, ma anche le sue idee, considerate pericolose per l’ordine stabilito
Grazie agli archivi, alle lettere e agli indizi raccolti da Pies ed Ebert, si delinea un quadro inquietante. La morte di Cartesio non fu il risultato di una malattia naturale, ma un complotto ordito nell’ombra, un assassinio consumato in nome di una fede che non esitava a ricorrere al veleno per raggiungere i propri scopi.
Questa teoria, oggi considerata la più plausibile, è stata per lungo tempo respinta dal mondo accademico, ritenuta privata di fondamento.
Tuttavia, l’ombra del dubbio persiste.
L’unica prova definitiva sarebbe la ricerca di tracce di arsenico nel cranio di Cartesio. Ma qui il mistero si infittisce: di teschi che si dice appartengano al filosofo se ne contano almeno cinque.
Uno riposa a Stoccolma, un altro a Parigi, mentre tre sono nascosti in collezioni private, circondati da un’aura di segretezza. Alcuni affermano che l’unico autentico sia un frammento del cranio conservato all’Università di Lund.
Misteri nel mistero.
Un enigma che persiste
Oggi, la figura di Cartesio rimane avvolta in un velo di mistero.
Morì tradito non dal gelo delle mattine svedesi, ma da un calice avvelenato che gli fu offerto sotto il segno della croce.
Il delitto, per troppo tempo sepolto nella storia, continua a gettare un’ombra oscura su uno dei più grandi filosofi di tutti i tempi.
Ego cogito, ergo sum, sive existo.