Non c’è niente da fare.
Donald Trump non ama l’Europa. Sembra anzi detestarla.
Un Presidente degli Stati Uniti completamente privo di tatto, capace di smantellare in poche settimane un soft power costruito nei decenni sta distruggendo ogni relazione positiva con quelli che sono stati gli alleati dell’America durante i lunghi anni della Guerra Fredda e poi ancora in quelli seguiti alla caduta del comunismo sovietico, fino al nuovo secolo inaugurato dal terribile 11 settembre newyorchese.
I dazi, la minaccia di abbandonare la NATO, il faticoso sostegno (eufemismo) all’Ucraina aggredita e per contro l’apertura di credito a Vladimir Putin, le parole offensive (“gli europei sono parassiti, patetici”): tutto va in una direzione decisamente contraria al vecchio continente. A mala pena, forse, il tycoon salva la Gran Bretagna, della quale apprezza la Brexit.
La totale ignoranza della storia, l’assenza di cultura, l’unica stella polare nel denaro ottenuto con gli affari, con gli accordi (i famosi deals) commerciali, fanno di questo Presidente l’uomo che renderà l’America piccola, altro che grande, come vorrebbe far credere col suo movimento MAGA.
Il punto, però, è che tutta la squadra che lavora con lui – selezionata con l’unico criterio della fedeltà al capo – non solo supporta le falsità inanellate a getto continuo dalla Casa Bianca attraverso, per lo più, il social network personale Truth ma pare fare a gara per ingraziarsi il boss seguendone la rotta ovunque, su qualsiasi tema. E quindi pure su quello europeo.
Nella riunione dello scorso febbraio del Gruppo di Contatto sull’Ucraina, ad esempio, il segretario alla Difesa, Pete Hegseth dichiarò senza scomporsi: “salvaguardare la sicurezza europea deve essere un imperativo per i membri europei della NATO, non più dell’America”. Pochi giorni dopo il vice presidente JD Vance alla conferenza sulla Sicurezza di Monaco informando l’allibita platea che “c’è un nuovo sceriffo in città” con tono duro ha attaccato la democrazia europea e le sue istituzioni. Per non correre il rischio di non essere inteso nella sua iconoclasta furia antieuropea aveva intitolato la sua prolusione The fall of Europe, la caduta dell’Europa: i veri suoi nemici sono interni – ha sostenuto – ovvero l’establishment che la governa, reo di aver “aperto le porte a una immigrazione incontrollata” che illanguidisce le identità nazionali e che – addirittura – ha cancellato la libertà di parola”. Dopo affermazioni del genere il sostegno al partito filo nazista AfD è venuto di conseguenza.
A fronte di un attacco così sconsiderato ma ripetuto nelle settimane seguenti e ribadito da ultimo ancora da Trump (“la UE è sorta solo per fregarci”) annunciando i dazi al 50% per le merci europee (fin quando non cambierà idea un’altra volta, magari costrettovi da quel mercato capitalistico che lui pretende di dominare) è evidente che l’Europa nel suo insieme debba rispondere.
Cominciando col prendere atto che questo inedito e, diciamolo, ignobile antieuropeismo, rischia di divenire strutturale – al di là di Trump e del MAGA – in considerazione della trasformazione demografica in atto negli USA, dove ormai l’immigrazione di provenienza europea è residuale, sostanzialmente finita da tempo e dove le nuove generazioni non hanno alcuna memoria delle origini europee della loro giovane nazione, fondata solo 250 anni fa.
Il disinteresse USA nei confronti dell’Europa è dunque una realtà con la quale l’UE dovrà, deve già ora, confrontarsi. La protezione americana, attraverso la NATO, non è più così scontata come a tutti noi appariva sino a solo pochi mesi fa. E proprio mentre l’Orso russo ha dimostrato di volersi risvegliare, più aggressivo che mai, dal letargo nel quale era caduto all’indomani della fine del sistema sovietico.
L’Europa dovrà considerare l’idea di doversi difendere da sola. Questa è la sfida alla quale saranno chiamate le sue classi dirigenti e i popoli che la abitano. Ne saranno capaci? La risposta affermativa, purtroppo, è tutt’altro che scontata.
Foto copertina fonte Avvenire