Una nuova crisi colpì il settore a fine anni Settanta – inizio anni Ottanta; il periodo fu turbolento per l’economia italiana e internazionale, caratterizzato com’era dalla stagflazione: alta inflazione, dovuta alle crisi petrolifere del 1973 e del 1979, e crisi di sovrapproduzione, dovuta alla saturazione dei mercati. A Valenza la crisi si risolse di nuovo a favore delle potenti società commerciali: i piccoli artigiani si impoverirono o fallirono e la disponibilità di forza lavoro cui subappaltare la produzione aumentò, grazie all’afflusso di migranti dal Sud Italia e dalle campagne circostanti e all’incremento del numero di ex artigiani impoveriti e proletarizzati (la crisi infatti distrusse l’artigianato calzaturiero locale). Tornarono a diffondersi le vecchie pratiche di sfruttamento del lavoro, basate su appalti e subappalti e lavoro nero e la produzione subì una maggior standardizzazione. Si affermarono grandi marchi commerciali come Casa Damiani, che presto sarebbe diventato un brand conosciuto a livello internazionale, e Crova, che invece si accontentò di produrre gioielli per conto di grandi marchi come Bulgari.
Nei primi anni Duemila una nuova crisi travolse l’oreficeria di Valenza: l’incertezza che prese a caratterizzare i mercati finanziari in quel periodo spinse gli investitori a puntare su beni rifugio, come i metalli preziosi; al conseguente drastico incremento dei prezzi delle materie prime si aggiunse un forte calo nella domanda di gioielli italiani, dovuta a fattori come la concorrenza dei produttori cinesi e indiani e la preferenza da parte del pubblico occidentale, come doni per anniversari o ricorrenze, di beni tecnologici o pacchetti vacanza piuttosto che gioielli. Inoltre la svalutazione del dollaro rispetto all’euro rese la gioielleria italiana ancora meno abbordabile per le tasche dei consumatori USA.
Occorreva quindi esaltare l’alta qualità, la Storia e la tradizione dei gioielli di Valenza, sia per distinguerli dalla gioielleria asiatica che per giustificare, agli occhi dei compratori, l’elevato costo di tali gioielli. Si pensò così di creare un Marchio Geografico Collettivo, che tutelasse, nel nome della qualità, della Storia e della tradizione locale, la produzione orafa di Valenza. L’AOV nel 2004 avviò quindi uno studio pilota sulla fattibilità della costituzione di un Marchio Geografico Collettivo e nel 2007 diede finalmente vita al Consorzio del Marchio Orafo “DiValenza”, che al suo sorgere raggruppava già circa 50 aziende. Il consorzio divenne pienamente operativo nel 2009 e oggi conta, fra i suoi membri, 29 aziende artigiane.
Il Consorzio del Marchio Orafo “DiValenza” è proprietario del marchio DiValenza e le aziende orafe che ne fanno parte possono usufruire di tale marchio. Tuttavia i produttori devono rispettare rigidi standard geografici, produttivi e qualitativi per poter far parte del consorzio e usufruire del marchio. Tali standard vengono fissati dal consorzio stesso, che si compone di un’Assemblea Generale (che ne raggruppa i membri) e di un organo esecutivo, che risponde all’assemblea. Gli standard definiscono i confini geografici in cui si devono collocare le aziende e la loro produzione, i metodi di produzione accettati e il livello di qualità del prodotto. Periodici controlli garantiscono il rispetto degli standard. In questo modo il marchio DiValenza tutela la qualità e lega i gioielli valenzani ad una precisa tradizione locale, a determinate tecniche produttive artigianali e alla Storia di Valenza.
PER SAPERNE DI PIÙ:
Gaggio, Dario, “Pyramids of Trust: Social Embeddedness and Political Culture in Two Italian Gold Jewelry Districts”, in: Enterprise & Society , MARCH 2006, Vol. 7, No. 1, Cambridge University Press, marzo 2006, pp. 19-58
Fontefrancesco, Michele F., “Crafting the Local: GIs, Jewelry, and Transformations in Valenza, Italy”, in: Social Analysis: The International Journal of Anthropology, Winter 2012, Vol. 56, No. 3, Berghahn Books, inverno 2012, pp. 89-107