La partita di rugby dura 80 minuti e se lo dice il Signor Arbitro, in alcuni casi si continua a giocare. Ma ci sono alcune condizioni imprescindibili, alcuni momenti in cui l’atleta non può più giocare durante un’azione, non può toccare la palla e non può bloccare l’avversario. Deve stare fermo. In altri termini, quando si verificano certe situazioni di gioco non si deve muovere più e non deve partecipare più a nulla. Fermo immobile. Pena la punizione contro sé stessi e contro la propria squadra. Quando l’atleta è sanzionato? Quando è appiattito, sdraiato a terra, muove le mani e tocca la palla. Non può farlo. Errore, non può giocare. Il giocatore di rugby non può entrare laterale nei raggruppamenti: non può giocare. Fallo. Ogni giocatore deve entrare a contendere l’ovale all’interno “dell’immaginario cancello” verticale di accesso, perpendicolare al pallone ed al portatore di palla. Insomma, alla fine, se giochi scorretto sei punito. E nel rugby non la fai franca.
Questo tanto per gradire un po’ di rugby e un po’ di tecnica, ma nella vita reale quando si può giocare? Quando è possibile essere protagonisti e parte attiva? Traslando dal rugby, la domanda è: siamo spettatori e subiamo gli eventi in maniera passiva, oppure decidiamo di essere giocatori della nostra vita? Da spettatori spesso deleghiamo ad altri la parte attiva della nostra vita e i fatti avvengono indipendentemente dalla nostra volontà. L’esempio lampante sono i social, con persone che spesso non conosciamo ci propongono il medesimo copione. Siamo attirati e diventiamo testimoni passivi. Altra storia è salire sul Grande Palco della Vita e cambiare ruolo, assumere una diversa posizione. Tre personaggi, tre frasi e tre esempi di come lo sport aiuta a crescere. E non siamo di parte, non ci riferiamo al rugby.
Alex Zanardi. A lui è attribuibile la frase: “La vita è sempre degna di essere vissuta e lo sport dà possibilità incredibili per migliorare il proprio quotidiano e ritrovare motivazioni”. Lo sport gli ha permesso di superare un trauma incredibile durante un incidente automobilistico. Ha subito l’amputazione delle gambe, ma con atteggiamento positivo è diventato protagonista nel paraciclismo vincendo la medaglia d’oro ai giochi paraolimpici. Ha ignorato vecchi schemi mentali negativi dando senso e significato alla sua nuova Vita.
Bebe Vio: “Ho sempre saputo che avrei potuto ricominciare a fare scherma. Quando l’ho chiesto ai medici mi hanno, diciamo, sputato in un occhio. Quando l’ho chiesto a quelli delle protesi, si sono messi a ridere. Però io fin da subito ho capito che sarei riuscita a ritornare”. Una ragazza che non molla mai. Non si è arresa nemmeno davanti alle menomazioni di braccia e gambe, anzi ha rilanciato ed è diventata campionessa mondiale e paraolimpica. Si è alzata ed è salita sul Palco della Vita.
Monica Boggioni: “Nella vita ti diranno che non ce la farai, tu rispondi: Guarda come si fa”. Già all’età di due anni una sofferenza celebrale dolorosissima agli arti inferiori pareva allontanarla dal palco della Vita. Si è tuffata in acqua, non ne è più uscita ed ha nuotato fino a diventare campionessa italiana assoluta nei 50 farfalla, 100 e 400 stile libero. Nel 2016 la sua patologia sembrava peggiorare, non ha “mollato” di un millimetro e nel 2017 ha migliorato il record del mondo nei 50 rana, 50 dorso e 200 stile. Mai fermarsi, non rallentare, andare sempre avanti.
E noi di cosa ci lamentiamo? Nel rugby se ti compiangi ti asfaltano, nella vita rimani indietro e diventi spettatore passivo.