Leone I fermò l’invasione dei barbari. Leone XIII diede voce agli ultimi con la Rerum Novarum e la dottrina sociale della Chiesa. Oggi, Leone XIV si trova davanti a un altro tipo di minaccia: le ideologie che separano. Ha recitato l’Ave Maria e ha salutato piazza San Pietro con entrambe le mani, gli occhi lucidi. Si è presentato con una parola semplice ma potente: pace. Il nuovo Papa, agostiniano, nato a Chicago 69 anni fa ma americano solo per nascita, ha vissuto gran parte della sua vita in America Latina. Missionario in Perù, vescovo della diocesi di Chiclayo, è un uomo che conosce la povertà, la fede concreta e la spiritualità che nasce dalle periferie del mondo.
L’appello per la pace
Si è affacciato alla Loggia con parole che tracciano un programma: unione, ponte, pace. Le ha ripetute più volte, quasi a volerle incidere nel cuore del mondo. E ha scelto di parlare non solo in italiano, che padroneggia perfettamente, ma anche in spagnolo, la lingua dei popoli che ha servito per decenni. Solo a quel punto Roma lo ha accolto con un applauso. Perché all’“Habemus Papam” la folla era rimasta sospesa, quasi incerta. Forse il nome di battesimo, Robert Francis Prevost, non aveva ancora detto nulla. Forse il fatto che fosse statunitense di nazionalità aveva raffreddato i cuori. Ma sono bastate le prime parole, semplici e forti, e il Papa – che come Francesco arriva dall’altro capo del mondo – ha conquistato la folla.
Pace, in un tempo in cui il massacro di Gaza continua, le tensioni tra India e Pakistan minacciano un conflitto nucleare sul Kashmir, e in Ucraina la fine della guerra sembra ancora un miraggio.
Una carezza su ferite aperte
È arrivato come una carezza su ferite ancora aperte, a diciotto giorni dalla scomparsa di Papa Francesco. Leone XIV si è mostrato fragile, eppure il nome che ha scelto richiama forza e coraggio. Come Leone I, che fermò Attila alle porte di Roma, oggi egli affronta invasioni più subdole: le ideologie che dividono, le disuguaglianze che uccidono, la violenza che si traveste da giustizia. E come Leone XIII, che con la Rerum Novarum diede alla Chiesa una coscienza sociale, il nuovo Papa si pone nel solco della giustizia, del rispetto della dignità umana e della responsabilità collettiva.
Costruire ponti, non muri
È su questo campo che si giocherà il suo pontificato. Ha parlato di ponti, e non è stato un caso. In un mondo che innalza muri, la scelta di diventare pontefice, nel senso più autentico del termine, è rivoluzionaria. E tra le capitali che bruciano e i cuori che si induriscono, Roma torna al centro del mondo con un Papa che ci ricorda che la pace non è un’utopia, ma una responsabilità condivisa. E soprattutto, ha parlato di dialogo. Un dialogo che non è compromesso, ma apertura. Non debolezza, ma forza spirituale. Nelle sue parole si avverte l’eco di Francesco, ma anche qualcosa di nuovo: il desiderio di ascoltare prima ancora di parlare, di camminare insieme. “Costruire ponti”, ha detto, “significa iniziare dal dialogo. Senza dialogo non c’è Chiesa, non c’è umanità”.
L’attesa della piazza
Il silenzio iniziale di piazza San Pietro non era indifferenza, ma attesa. Come se il popolo avesse bisogno di comprendere, prima di affidarsi. E quando ha compreso, ha risposto. Con un applauso che ha spezzato l’aria tesa, con un grido che ha fatto eco nel mondo: “Viva il Papa”.
“Leone, Leone, Leone!” Il conclave, così breve, ha inviato un messaggio forte: unione, dentro e fuori la Chiesa. Extra e intra. Un percorso che si preannuncia nel segno della continuità con Francesco, ma anche con la forza dei grandi papi del passato. Come ha detto il nuovo Pontefice, affacciandosi alla Loggia: “Non temiamo il dialogo. È lì che abita Dio”.