Le origini dei mochi sono antichissime, risalenti alla fine del periodo Jomon e all’inizio del periodo Yayoi, fase storica cruciale per il Giappone.
In quel tempo, l’introduzione della risicoltura dalla Cina – probabilmente tramite migrazioni dalla Corea o dal Sudest asiatico– trasformò profondamente l’economia locale, segnando il passaggio da una società di consumo a una di produzione.
Un dolce simbolo della tradizione
Oggi i mochi sono tra i dolci più noti della cultura culinaria giapponese. Diversi per forme e colori, sono immancabili sulla tavola dei giapponesi, specialmente durante le occasioni speciali: compleanni, nascite e festività.
Tra queste, spicca la Giornata dei Bambini (Kodomo no Hi), descritta dalla legge n. 178 dell’era Showa 23 (National Holidays Act) come un’occasione per “rispettare la personalità del bambino, promuovere la sua felicità e ringraziare le madri.”
Offerte agli dei: i kagamimochi
I mochi sono stati a lungo utilizzati anche come cibo rituale da offrire alle divinità. L’11 gennaio si celebra il Kagamibiraki, durante il quale si donano agli dei i kagamimochi (鏡餅), letteralmente “mochi specchio”, così chiamati per la loro forma arrotondata, simile agli specchi di bronzo tradizionali.
Questi ultimi sono uno degli oggetti sacri che la dea Amaterasu, divinità principale del “pantheon” shintoista, avrebbe donato a Ninigi no Mikoto, inviato sulla terra come suo discendente.

Mochi e kitsune: un legame sacro
I mochi compaiono spesso accanto alle raffigurazioni delle volpi (kitsune, 狐), spiriti del folklore giapponese considerati messaggeri del dio della fertilità Inari. Queste volpi, che supportano la semina dei campi, decorano i templi dedicati alla divinità e sono spesso rappresentate in coppia: una delle due tiene in bocca un mochi.
Tra letteratura e leggenda
I mochi sono citati anche nello Uji shūi monogatari, classico della letteratura giapponese risalente ai primi decenni del periodo Kamakura (1185-1333). In queste storie, sono descritti come una prelibatezza irresistibile anche per le kitsune, al punto che alcuni racconti narrano come questi spiriti arrivino a possedere gli esseri umani (kitsunetsuki, 狐憑き) pur di poterne mangiare in abbondanza.
Il mochi del destino
Un mochi è protagonista anche nell’otogizōshi (racconti del “medioevo” giapponese) dedicato a Monokusa Tarō (“Tarō il fannullone”). Secondo la leggenda, proprio grazie a un mochi, Tarō incontra il tenente Nobuyori, grazie a cui viene inviato in servizio alla capitale. Qui, Tarō scoprirà le sue nobili origini di cortigiano e incontrerà una donna bella “come un Buddha d’oro”, cambiando per sempre il corso della sua vita.
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Riferimenti biblio:
お餅の歴史|いつから日本にあった? | 【公式】まごころ弁当
paradise-curiosity.com/archives/1296.hl
Strippoli, R. (2001). La monaca tuttofare, la donna serpente, il demone beone, Venezia, Italia:Marsilio Editore.
De Baggis, M. (2010) Uji Shūi Monogatari, Roma, Italia: Casadeilibri.