Nel cuore della storia della Chiesa cattolica si annida un mistero antico, oscuro, carico di presagi e coincidenze sconcertanti: le Profezie di Malachia. Un elenco criptico di 112 motti in latino che, secondo alcuni, avrebbe predetto l’identità e il destino di ogni Papa da Celestino II fino… alla fine del mondo. Ma chi ha scritto davvero queste profezie? Un santo visionario o un abile manipolatore? E perché, ancora oggi, continuano a generare inquietudine?
Il segreto di San Malachia
San Malachia, arcivescovo irlandese del XII secolo, è una figura sfuggente. Canonizzato nel 1190, fu uno dei più vicini collaboratori di San Bernardo di Chiaravalle, fondatore dell’ordine cistercense. La leggenda narra che, durante un viaggio a Roma nel 1139, Malachia avrebbe avuto una visione mistica nei pressi della Tomba di Pietro. Una rivelazione fulminea e spaventosa: gli apparvero, uno dopo l’altro, tutti i futuri pontefici della Chiesa.
Al suo ritorno, avrebbe trascritto questi motti misteriosi, ognuno dei quali legato simbolicamente a un futuro Papa. Il manoscritto, secondo la tradizione, fu consegnato a Papa Innocenzo II e poi dimenticato negli archivi vaticani per oltre quattro secoli. Ricomparve improvvisamente nel 1590, alla vigilia di un conclave turbolento, in piena epoca di intrighi e lotte di potere all’interno della Curia romana.

Motti che anticipano il futuro?
I 112 motti latini iniziano con Celestino II, eletto nel 1143, e terminano con un enigmatico “Petrus Romanus”, il pastore che guiderà la Chiesa “tra molte tribolazioni” fino alla distruzione della città dei sette colli, Roma.
Molte delle frasi sembrano incredibilmente accurate. “Ex Castro Tiberis” (“dal castello sul Tevere”) allude a Celestino II, nato a Città di Castello. “Draco depressus” (“il drago abbattuto”) per Clemente IV trova riscontro nel suo stemma, dove un’aquila trafigge un drago. “Pastor angelicus” pare perfettamente aderente alla figura spirituale di Pio XII. E “De labore solis” (“del lavoro del sole”) è legato a Giovanni Paolo II, nato durante un’eclissi.
Il motto numero 111 è “Gloria olivae”, ritenuto riferito a Benedetto XVI. L’ultimo è Francesco, che però non viene nominato esplicitamente: al suo posto compare solo “Petrus Romanus”, l’ultimo Papa. Alcuni ipotizzano che Francesco sia in qualche modo il pontefice che precede la catastrofe, o addirittura “Petrus” sotto mentite spoglie.
Il mistero dei 112 tondi di San Paolo fuori le Mura
C’è un dettaglio architettonico, spesso ignorato, che potrebbe offrire una spiegazione al numero “112” delle Profezie. Nella Basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma, lungo la navata si trovano tondi marmorei che raffigurano i volti di tutti i papi della storia, da San Pietro fino all’attuale pontefice. Questi medaglioni, conosciuti come “tondi papali”, sono stati commissionati nel XIX secolo dopo l’incendio che colpì la basilica nel 1823.
Il numero complessivo di tondi realizzati è 112, proprio come i papi elencati nelle Profezie di Malachia. Una coincidenza? O il segno di una conoscenza più profonda custodita nei secoli?
Secondo una tradizione popolare, quando gli spazi per i tondi saranno tutti occupati, non ci sarà più un Papa dopo l’ultimo raffigurato. È una leggenda senza fondamento teologico, certo, ma è curiosamente allineata con l’idea che il Papa attuale, Francesco, sia l’ultimo della lista prima di “Petrus Romanus”.
Un documento manipolato?
La storia ufficiale presenta numerosi punti oscuri. Le Profezie furono pubblicate per la prima volta nel 1595 dal monaco benedettino Arnold de Wyon, nel suo libro Lignum Vitae. Curiosamente, proprio durante il conclave del 1590. Uno dei candidati al soglio pontificio, Girolamo Simoncelli, sembrava perfettamente descritto da uno dei motti. Una coincidenza troppo comoda?
Molti storici credono che il documento sia stato fabbricato ad arte in quel periodo per influenzare l’elezione papale. Le prime 74 frasi appaiono infatti estremamente dettagliate e calzanti; le successive diventano vaghe, generiche, interpretabili. Claude-François Menestrier, gesuita del XVII secolo, fu tra i primi a denunciare l’inganno. Nel XX secolo, il teologo Herbert Thurston rafforzò questa tesi, attribuendo la paternità del testo a qualche astuto politico ecclesiastico del tardo Rinascimento.
Ma se davvero fosse un falso… perché continuano a verificarsi coincidenze inquietanti?
Una profezia che si adatta al tempo?
Alcuni studiosi sospettano che il manoscritto sia stato modificato nel corso dei secoli. Altri credono che esista un testo più lungo, più preciso, mai reso pubblico. Una teoria affascinante sostiene che le Profezie siano un “codice dinamico”: simboli archetipici che influenzano il subconscio collettivo, modificando le aspettative e, quindi, la realtà stessa.
Scrittori come John Hogue hanno ipotizzato che queste profezie non siano soltanto una lista di nomi e motti, ma uno specchio psichico della Chiesa — uno strumento che riflette e condiziona il destino spirituale dell’umanità. Secondo questa visione, ogni nuovo Papa viene inconsciamente associato al motto previsto, e la Chiesa — pur senza mai ufficializzare il testo — ne subisce l’influsso.
Francesco e l’ombra dell’ultimo Papa
E adesso? Papa Francesco è l’ultimo della lista ufficiale. Dopo di lui, il silenzio. O peggio: “Petrus Romanus, che pascerà il suo gregge tra molte tribolazioni…”
Che si tratti di un nome simbolico o letterale, molti si chiedono se siamo davvero alla vigilia di una svolta epocale. Crisi nella Chiesa, instabilità globale, persecuzioni religiose: tutto sembra avvicinare il mondo al quadro apocalittico dipinto nell’ultimo motto.
Ma la Chiesa non ha mai preso una posizione chiara. Non ha mai riconosciuto le Profezie, ma nemmeno le ha condannate apertamente. Forse perché, nel profondo degli Archivi Vaticani, si nasconde qualcosa che non deve essere rivelato?
Una verità ancora sepolta
Inganno, ispirazione divina o auto-profezia collettiva? Nessuno lo sa con certezza. Ma le Profezie di Malachia continuano a suscitare domande che attraversano i secoli.
E se avessimo già varcato la soglia del tempo profetizzato? Se Francesco fosse davvero l’ultimo… cosa ci aspetta dopo?
Solo il tempo, o forse il prossimo conclave, potrà dare una risposta. Speriamo non sia terribile!