La crisi che sconvolge i nostri tempi non è solo climatica o economica. Viviamo tempi cupi, una crisi di coscienze e di partecipazione. Una crisi che si concretizza in guerre e oppressioni. Una crisi che mette a dura prova le democrazie moderne. Profonda al punto da scuotere dalle fondamenta le nostre convinzioni, quelle di occidentali certi di essere detentori di una democrazia da esportare.
Sono preoccupato per la deriva suprematista che sta interessando le grandi democrazie, per la spinta populista che rischia di abituare le nuove generazioni al solo impatto esterno dei problemi, che li rende indifferenti e non li spinge all’analisi dei fatti, ad andare in fondo ai problemi. Sono preoccupato perché una generazione che non interiorizza le crisi, ma si ferma all’impatto superficiale degli eventi, finisce per delegare “altri” alle scelte decisive, come il voto, cuore pulsante di ogni democrazia, un diritto che chi ci ha preceduto ha conquistato lottando e che è sempre più mortificato dall’indifferenza. I giovani vanno guidati e a loro va un messaggio di speranza, un invito alla partecipazione attiva. Politiche di chiusura e scelte oscurantiste sui temi ambientali, umanitari, come quelle che Trump sta imponendo negli Stati Uniti, rischiano di devitalizzare il futuro di tutti, perché nessun “dazio” ferma la propaganda, quando è spinta con forza come nel caso americano. É uno dei grandi paradossi del nostro tempo.
In questo scenario cupo, la Pasqua, con il suo significato più concreto, un momento di passaggio, di andare oltre, con il suo messaggio di rinascita e di speranza, può e deve rappresentare un’occasione autentica di riflessione. Non basta dispiacersi, indignarsi davanti alle immagini di ospedali devastati dalle bombe, di cadaveri di bambini strappati alle famiglie dalla furia della guerra, di povertà e miseria estrema. Bisogna fare qualcosa di più. Serve il coraggio di mettersi in gioco in prima persona. Perché se è vero che le grandi crisi umane del nostro tempo con la loro enormità sembrano fuori dalla portata del singolo, è altrettanto vero che ogni cambiamento collettivo inizia da un cambiamento individuale. Un cambiamento di coscienza. La Pasqua ci dà questa chance. Ci dice di non arrenderci all’indifferenza, di non cedere alla rassegnazione. Di non abituarci alla sofferenza. Dobbiamo credere, con forza, nella possibilità di un mondo diverso. Ma quel mondo non si costruisce da solo. Siamo noi a doverlo costruire. Richiede il nostro impegno quotidiano, anche nelle scelte che sembrano insignificanti di fronte alla globalità delle grandi crisi. Un consumo più consapevole, una solidarietà concreta, una parola gentile al posto dell’indifferenza, la volontà di informarsi davvero invece di lasciarsi sopraffare dal rumore del mondo, di adagiarsi nella convinzione che un singolo individuo non abbia alcun potere di reazione. Rinascere significa anche questo: rompere con la passività, con il fatalismo. Abbandonare l’idea che “tanto nulla cambia”. Perché tutto può cambiare. Ma deve partire da noi. Da una nuova responsabilità verso il pianeta, verso l’altro, verso noi stessi. Nessuna istituzione, nessun governo, nessun leader carismatico potrà mai sostituirsi a quella forza silenziosa e potente che è la coscienza di milioni di persone che scelgono di vivere con coerenza e consapevolezza. Riflettiamo, dunque, e che la Pasqua non sia solo un giorno di festa, ma un momento di passaggio, di transito interiore tra la convinzione di non poter far nulla alla speranza di poter contribuire, ciascuno singolarmente, a una corale risurrezione di intenti. Perché anche in mezzo al buio più fitto, possiamo essere, ciascuno, luce. E insieme, possiamo contribuire a costruire un futuro più giusto, più umano, più vivo.