Le Leonesse di Settimo Milanese e Gonzalo Quesada
E se le vedesse il nuovo CT della Nazionale Femminile Fabio Roselli?
Il mondo del rugby è conservatore e conservativo, ma cambia veloce.
Oggi le nazionali italiane di rugby sono guidate da due nuovi allenatori: Gonzalo Quesada per la maschile e Fabio Roselli per la femminile.
Entrambi con destinazione VI Nazioni e Campionati del Mondo.
Il rugby come strumento di inclusione famigliare
Certa Gente del Rugby
Loro sono Leonesse di Settimo Milanese.
Un gruppo di prestigiose mamme che giocano a rugby.
Appassionate dello stare insieme.
Prima si ritrovavano sugli spalti a vedere i figli, oggi si trovano sul campo da gioco e poi festeggiano in club house con tutta la famiglia.
Vivono felici e gioiose. A loro piace stare in compagnia. Anzi, in buona compagnia e tutte insieme vivono in una nuova grande famiglia. Quella del mondo ovale di Certa Gente del Rugby.
Una prima domanda al gruppo delle Leonesse. Come è nata questa idea di ritrovarvi insieme per andare in campo a giocare a rugby?
Rispondono tutte insieme e come per incanto indicano un signore in piedi a lato.
Si rivolgono a lui e scherzando lo individuano:
“La colpa è sua! Di quel signore lì, quello di spessore! (N.d.R. Il presidente del Rugby Settimo, il cosiddetto Gianni Barba). Sì, sì, la è colpa sua.
Un giorno è arrivato da noi con un foglio bianco e ha detto: “Mettete qui i vostri nomi”.
Ascoltiamo Gianluigi Giuliani, Presidente del Rugby di Settimo Milanese, il “colpevole”. Lui allarga le braccia e conferma:
“È vero, l’idea è nata dal volere tenere insieme le famiglie qui con noi sul campo da rugby”.
Presidente, non bastava semplicemente ospitarle sugli spalti a vedere i figli giocare?
“Infatti. Finora è sempre stato così. Un po’ dappertutto, non solo qui. Ma oggi il problema di chi ha più figli è quello di rischiare di disperdersi.
Genitori da una parte e figli dall’altra e alla fine qualcuno “mollava”. Normale!
Avevamo notato che le mamme dovevano sempre correre per accompagnare i vari figli in giro per farli partecipare a discipline sportive o artistiche diverse”.

Oggi?
“Oggi invece per diverse famiglie non è più così. Abbiamo oltre venti leonesse in più iscritte al club rispetto allo scorso anno. Sono qui con tutta la famiglia.
Nessuno può più dire: “Non posso venire” per gli impegni di fratellini o sorelline. Adesso sono tutti qui. Anche le famiglie numerose”.
Una leonessa si alza in piedi, sorride e aggiunge sovrastando la voce delle altre: “Anche le famiglie allargate ora sono qui”!
Approvazione generale.
Il rugby come strumento di inclusione famigliare
Parola alle Leonesse.
Perché una mamma gioca a rugby?
“Giocare a rugby ci dà la possibilità di staccare dall’essere mamme e ritrovare un po’ noi stesse, perché spesso quando diventiamo mamme e dimentichiamo di essere donne.
Rimaniamo incastrate nei ritmi frenetici per conciliare la vita famigliare e le esigenze dei figli. Siamo intrappolate nelle loro attività… giriamo come trottole accompagnando i figli sempre da tutte le parti e ci dimentichiamo della nostra identità.
Ora portiamo i bambini al campo, loro sono felici e noi contente. Possiamo stare fra donne, non solo mamme. Stiamo bene qui, ci svaghiamo. Finalmente!”

Ma giocate davvero a rugby?
All’unisono la risposta è gioiosa e affermativa. Un boato!
“Sì, sì! Giocare a rugby è una sfida, un modo per rimettersi in gioco e divertirsi giocando lo stesso sport dei nostri figli”.
Quali sono stati i primi insegnamenti?
“Quando ci siamo ritrovate a giocare insieme abbiamo capito che la prima cosa da fare è dare sostegno alla nostra compagna di squadra.
Aiutare l’altra mamma con cui prima condividevamo solo la presenza sugli spalti.
Ora abbiamo capito che dobbiamo stare sempre insieme. Accanto all’altra mamma, seguirla quando parte di corsa, proteggerla quando cade. Questo è bellissimo e ha fatto di noi in poco tempo un gruppo compatto e coeso.
Ora ci sentiamo una squadra, sappiamo di poter contare sulle nostre compagne, mentre prima eravamo solo singole mamme. Da sole.
E questo è stato possibile grazie al gioco del rugby”.
Prima di proseguire ci tengono a ricordare un incontro particolare.
La visita al campo da rugby di Settimo Milanese del precedente Presidente della Federazione Italiana Rugby, Marzio Innocenti e dell’attuale allenatore della Nazionale Italiana maschile Gonzalo Quesada. Raccontano che entrambi si sono complimentati con loro.
Il coach Quesada ha espressa ammirazione per la loro forza, la tenacia e l’unicità del progetto intrapreso.
Come avete iniziato a giocare a rugby?
“Abbiamo iniziato ad apprezzare il rugby grazie ai nostri figli, portandoli al campo e vedendoli giocare.
Ci ha colpito lo spirito di squadra che regna nel contesto del rugby. Ora lo vediamo meglio, lo sentiamo nostro. Lo percepiamo proprio dal rispetto che c’è in campo e anche nel terzo tempo.
Si crea una complicità unica, straordinaria.
Si produce una coesione particolare all’interno della nostra squadra, ma anche con le altre squadre della stessa società e anche con le squadre avversarie.
In buona sostanza si crea una concordia e un legame con tutto il mondo del rugby.
È proprio un ambiente dove lo sport è davvero sport.
E questo è un motivo importante per il quale abbiamo scelto proprio il rugby per i nostri figli”.
Il capitano parla e tutte sono zitte, proprio come deve essere in campo, e quando finisce tutte annuiscono. Qualcuna le batte le mani.

Domanda per tutte.
Qual è la cosa che vi piace di più del rugby giocato?
Breve consulto e poi… “Ci piace fare squadra, ci piace la ruck… adoriamo stare insieme in campo e nel terzo tempo.
Ci piace la battaglia”.
Le leonesse sono allenate da tre ex giocatori.
Cosa vi hanno detto all’inizio i vostri coach?
Rispondono un po’ tutte insieme. E la risposta accomuna tutte.
“All’inizio ci facevano fare partitelle a touch e noi non “lo capivamo”. Non ci piaceva giocare a toccare senza placcare e non ci piace ancora oggi…
Alla fine si arrivava sempre al contatto fisico e ci tiravamo comunque “cartelle”. E noi eravamo contente. Poco dopo hanno smesso di proporcelo”.
Nel mondo del rugby si narrano storie, leggende e avventure.
Voi avete un aneddoto da raccontare?
“Ne abbiamo molti…Durante la prima partita c’è stato qualche passaggio in avanti, e vabbè. Ma non solo, c’è stato anche un passaggio per fare meta alla parte opposta…Correvamo verso la nostra linea di meta anziché verso quella delle avversarie”.
Tutte ridono di gusto e annuiscono…
“In effetti nella prima partita abbiamo commesso tutti gli errori che si potevano fare, qualcuna ha messo persino il paradenti al contrario…”.
Altra domanda doverosa al capitano.
La emozioni da capitano.
“La prima emozione è stata sicuramente la nomina stessa.
Poi la prima partita, avrei voluto giocare di più e non avrei mai voluto uscire. Ma così era stato deciso prima negli spogliatoi. Poi ci sono le emozioni in ogni allenamento. Ogni allenamento è un’eccitazione.
C’è sempre qualcosa da imparare “di più”. Ci accorgiamo che si cresce insieme, aumenta l’intesa e quindi si rafforza il legame tra di noi.
Poi è bello quando ci sentiamo tra noi anche durante il giorno e non vediamo l’ora di vederci al campo”.
Quali sono i vostri sogni personali e gli obiettivi della squadra?
“I sogni sono nati e cresciuti per grado. Abbiano iniziato dicendo: “Ma sì, proviamo!” e invece adesso siamo una bella realtà. Un po’ di tempo fa abbiamo disputato la nostra prima partita ufficiale, uno spettacolo di divertimento. Non vediamo l’ora di disputarne altre.
Il sogno è di riuscire… a passarci la palla come si deve! (E scoppia una risata collettiva).
Il sogno è andare avanti e passare l’ovale indietro. (Altro scroscio di risate).
Vogliamo continuare a giocare tutto l’anno, vogliamo coinvolgere altre persone… Ci stiamo lavorando. Ci sentiamo squadra, ma sappiamo di dover lavorare ancora tanto. Il sogno è quello di creare un gioco “ovale bello”.

Come si è sviluppato il rapporto con la società?
“Il rapporto con la società ci piace, è stato da subito positivo e proficuo.
La società ci permette di vivere questa esperienza straordinaria e nello stesso tempo noi diamo un contributo alla società durante gli eventi. Cerchiamo di garantire sempre la nostra presenza e dando un aiuto concreto quando serve. È proprio bella la reciprocità, fra noi mamme e la nostra società di rugby.
Ma non solo fra noi. Andiamo d’amore e d’accordo (risate e applausi) anche con gli Old della società.
Alcuni nostri coach, ma anche mariti e fidanzati, sono giocatori Old. È proprio un’interazione completa, c’è coesione. Ci piace!”.
La vostra presenza in campo ha generato effetti? Ha determinato qualcosa?
“Abbiamo creato entusiasmo contagioso! Anche le persone che non se la sentono di giocare vengono comunque a vederci o contribuiscono in altro modo. Facciamo spettacolo!”.
(Risata generale).
“Abbiamo coinvolto alcuni nostri conoscenti: partecipano concretamente. Ognuno a suo modo. Abbiamo ricevuto sconti sulla “brandizzazione” delle magliette, abbiamo uno sponsor, abbiamo già ricevuto una volta i biglietti gratis per andare a Parma a vedere le Zebre.

Tutto questo è stato possibile perché si è creato un gruppo e abbiamo attivato tutte le conoscenze che avevamo. È un circolo virtuoso, poi, più le cose vanno avanti bene e più si attirano persone, è un meccanismo che sta funzionando molto bene”.
Nel rugby, nella vita.
Come è cambiata la vostra vita da quando avete iniziato a giocare a rugby?
Risponde il capitano e tutti ascoltano.
“Dopo aver iniziato a giocare a rugby mi sono messa alla prova in qualcosa di nuovo, nel quale mai avrei immaginato di cimentarmi, è esploso il contatto fisico.
(Altre risate e applausi di consenso).
Ho scoperto, anzi abbiamo scoperto, il bello di sporcarsi. E così mi sono resa conto che sono caduti alcuni muri anche altrove.
Ho acquisito più sicurezza al punto che, scherzando in ufficio con un collega, ho detto: “Occhio che ti placco e poi ti stendo”. Ovviamente era una battuta, ben compresa, ma questo mi ha permesso di rendermi conto che il rugby era parte di me”.
E poi?
“In un’altra occasione non sarebbe stato così. Avrei detto: “Adesso basta!”. E mi sarei arrabbiata!
E poi … ho voglia di raccontare questa mia esperienza a chiunque, sto così bene… “.
Intervengono altre giocatrici confermando.
“Sì è vero, siamo orgogliose di avere iniziato a giocare a rugby, parliamo quasi solo di questo… siamo monocorde.
Siamo fiere di essere entrate in questa squadra, con donne che hanno deciso di condividere tempo e fatica. Ci siamo guadagnate uno spazio per noi stesse, perché il rugby femminile è una cosa tutta nostra. Poi arriverà quel che arriverà, ma per il momento stiamo insieme, siamo diventate amiche, stiamo creando relazioni che prima non c’erano, ed è successo grazie a questo sport.
Viva il rugby!”.
(Boato! Un coro entusiasta).
E i figli? Da quando giocate, avete notato qualche cambiamento nel comportamento dei figli che giocano a rugby?
Risponde una mamma con addosso la maglietta del club.
“Mio figlio grande giocava a rugby, ma nonostante questo non ascoltava nessuno. Non c’era verso di fargli fare qualcosa in gruppo. Poi improvvisamente qualcosa è cambiato.
Infatti, quando noi mamme abbiamo iniziato a giocare ho visto che durante la sua prima partita è accaduto qualcosa mai successo prima. E’ andato dal suo capitano a chiedere qualcosa e soprattutto ascoltava attentamente quello che gli veniva detto. Mai successo prima.
Ora da quando gioca, anche gli insegnanti mi hanno confermato che è un altro bambino. È diventato più pacato, più tranquillo, addirittura in un episodio in cui è stato coinvolto in una rissa, non ha reagito… prima invece era un disastro…
Adesso, inoltre, per quanto ci riguarda comprendiamo di più i nostri figli. Le loro motivazioni e la loro stanchezza”.
Come si concilia uno sport maschile come il rugby con la femminilità?
Tutte ridono.
“Il rugby non ci sembra così tanto maschile, al limite metteremo una protezione in più sul petto…
Ci sembra più che altro uno stereotipo. Una forma di preconcetto. Noi ormai siamo abituate ai contrasti, anzi in campo non ne abbiamo paura. Andiamo a cercarli”.
E i mariti?
“I mariti sono contenti perché ci sfoghiamo fuori da casa”.
Applausi, risate e battimano!
Hanno partecipato:
Gianni, primo colpevole
Maurizio, primo colpevole pari merito
Micaela, Capitano
Claudia, Barbara, Bae, Daniela, Giusy, Sonia, Valeria…
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