Ci sono gruppi che attraversano le mode senza farsi toccare. Altri che si dissolvono col tempo. E poi ci sono gli And Also The Trees, che invece crescono, maturano, e sembrano scrivere oggi le pagine più intense della loro storia.
In occasione del loro ritorno in Italia, abbiamo voluto incontrarli per ripercorrere questo cammino musicale così unico e personale. Tra radici rurali, passioni senza tempo e un pubblico italiano che li ha sempre amati con devozione silenziosa.
Perché ogni viaggio, per chi sa ascoltare, lascia un segno.
1. Simon e Justin, il vostro viaggio musicale è iniziato in un piccolo villaggio del Worcestershire. Cosa rimane oggi di quella radice rurale nella vostra musica?
SHJ : Siamo ancora degli outsider, in qualche modo distaccati. E la nostra vicinanza alla natura e agli elementi è ancora presente nella nostra musica e nei miei testi. C’è anche una sorta di atemporalità in And Also The Trees che deriva dal vivere in un luogo così tranquillo e dimenticato – ed è qualcosa che permane.
JJ : Non sono sicuro che questo legame scomparirà mai. Anche se non vivo più in quella zona da 25 anni, mi capita ancora di tornare di tanto in tanto nelle Midlands. L’ultima volta è stata mentre lavoravo al nuovo album. Paul vive ancora lì vicino, così come Matthew, con cui registriamo la maggior parte del nostro materiale. Quindi mi capita di attraversare quei luoghi di tanto in tanto.
Per me, quel luogo è il passato. E come ogni passato, è abitato da fantasmi — alcuni luminosi, altri più oscuri — ma è proprio questo a incuriosirmi, ad attrarmi. Il paesaggio cambia solo in apparenza: gli alberi ora sono più alti, sì, ma i panorami, l’orizzonte lontano, restano scolpiti nella mente, e ancora oggi sanno incantarmi. Personalmente, per me lì ci sono radici musicali profonde, legate al luogo in cui siamo cresciuti. Se ascolti Vaughn Williams, puoi percepirlo, e a sua volta lui si ispirava a Thomas Tallis, e così si risale fino all’alba della musica inglese.
2. Nel 2025 vi preparate a tornare in Italia: che emozione vi dà ritrovare il pubblico italiano, che vi segue con affetto da decenni?
SHJ : A dire il vero sono un po’ in apprensione – non ho idea se la gente si ricordi ancora di noi e se nuovi, giovani amanti della musica ci abbiano scoperti in Italia, come è successo in altri Paesi. Lo spero, ovviamente. È sempre un enorme piacere visitare l’Italia per qualsiasi motivo, ma non vediamo davvero l’ora di vivere quel contatto umano che nasce suonando davanti a un pubblico italiano.

3. Molti vi scoprono oggi attraverso i vostri album più recenti. È strano pensare che i vostri “capolavori” siano quelli più recenti, dopo oltre quarant’anni di carriera?
SHJ – Sì, è strano, insolito… ma se è così, allora siamo molto felici, perché è non solo un grande complimento per noi come musicisti e artisti, ma forse dimostra anche, in qualche modo, che è possibile per una rock band evolversi e restare creativa per un lungo periodo. E che la vita non finisce (come pensavo da adolescente) una volta superati i trent’anni.
4. “Born into the waves” è un disco profondamente emotivo e cosmopolita. Quali sono state le sue scintille iniziali?
SHJ: Tutta la nostra musica nasce dai pezzi di chitarra di Justin – noi reagiamo a quello, e da lì nascono le canzoni. A volte molto rapidamente, come reazioni spontanee, altre volte ci vuole molto per trovare il giusto equilibrio e la giusta direzione. Quando Justin mi ha fatto ascoltare le prime idee per Born into the Waves, mi ha detto che erano canzoni d’amore provenienti da diverse parti del mondo, e ho preso quella come base di partenza. L’amore è una parola forte, che può riferirsi a molte cose – non solo al classico “lui incontra lei”… beh… non nel nostro mondo, almeno.
5. Nel vostro lungo percorso avete attraversato diverse epoche musicali. Sentite di appartenere ancora a una corrente? O siete ormai una corrente a parte?
SHJ: Come accennavo prima, non ci siamo mai sentiti parte di un genere o movimento specifico. Quando è comparso il termine “post-punk”, ci è sembrata la categoria più adatta – eravamo letteralmente una band post-punk. Siamo nati grazie al punk rock, eravamo giovanissimi, autodidatti, una band punk nata proprio nel momento in cui era chiaro che la ribellione punk era passata o si era trasformata in qualcos’altro… e noi eravamo lì con i nostri strumenti, a chiederci: “e adesso?”. Consideriamo sempre un grande complimento quando persone che si identificano con altri generi comprendono la nostra musica… piacciamo a chi ama il rock classico, alternativo, sperimentale – e riceviamo persino un certo rispetto dal pubblico metal e da quello goth. Appartenere a un genere può essere utile dal punto di vista “commerciale”, ma artisticamente sono molto felice di oltrepassare i confini musicali.
6. Cosa possiamo aspettarci dal live italiano di quest’anno? Quali brani non mancheranno mai dalla scaletta?
SHJ: Beh, anche chi ci ha già visto molte volte ama sentire certi brani dal nostro album Virus Meadow, ma suoneremo canzoni da tutta la nostra storia. Ci piace proporre una scaletta leggermente diversa ogni sera. Il focus sarà incentrato sul nostro ultimo album Mother-of-pearl Moon e sul rinnovato [Listen for] The Rag and Bone Man, ma cercheremo di creare un set vario e interessante.
7. Il rapporto con i fan italiani è particolare: appassionati, fedeli, spesso poetici nel modo in cui vi seguono. Che idea vi siete fatti del pubblico italiano in questi anni?
SHJ: Credo che i nostri fan, in generale, siano proprio come hai detto – appassionati e fedeli. È qualcosa che ci hanno fatto notare anche persone esterne o che ci scoprono da poco. Non abbiamo un pubblico vastissimo, ma chi ci segue lo fa con grande intensità e ci comprende in modo davvero speciale. Gli italiani, poi, sono comunque persone speciali nel modo in cui si comportano e reagiscono alla vita. Dopo il tour potrò dire qualcosa di più sul nostro pubblico italiano 🙂
8. Avete mai pensato a un disco “italiano”, magari registrato o ispirato qui?
SHJ: Negli anni ’80 avevo pensato di fare una versione in italiano di Slow Pulse Boy, ma la nostra casa discografica italiana ce lo sconsigliò. E penso avessero perfettamente ragione. Comunque, siamo stati parecchio influenzati dall’Italia nel corso degli anni.
9. C’è un ricordo legato all’Italia – magari un concerto, un incontro, un luogo – che portate nel cuore?
SHJ: Sì. Ce ne sono tanti… troppi per menzionarli tutti…
10. Sul retro di un vecchio diario scrivete i luoghi di ogni vostro concerto. Che cosa scriverete dopo il tour italiano 2025?
SHJ: Se intendi dire: “ci saranno altri concerti da aggiungere alla lista?”, allora la risposta semplice è: sì – scriverò i nomi delle città e dei locali dei prossimi concerti in Germania e Spagna sul retro del mio vecchio diario.
Oppure intendi: “per quanto tempo ancora gli And Also The Trees continueranno a suonare dal vivo?” – che è una domanda più grande, alla quale non so rispondere.
È stato difficile mettere insieme questo tour, dato che attualmente non abbiamo un agente in Italia, e devo menzionare un ragazzo di nome Leonardo, che suonerà con The Second Nature, la band romana che ci accompagnerà per tutto il tour: è stato lui a organizzare tutto – ci ha dedicato molto tempo e lavoro, ed è stato eccezionale. Senza di lui, tutto questo non sarebbe successo, e non so se potrà mai succedere di nuovo. Vedremo.
L’attuale lineup per le esibizioni dal vivo è:
Simon Huw Jones – voce
Justin Jones – chitarra
Paul Hill – batteria
Grant Gordon – basso
Colin Ozanne – clarinetto, chitarra e organo