Roma, 8 gennaio 2025
Andrea è appena rientrato a casa, nel suo monolocale in zona Tiburtina; turno pomeridiano finito alle 18, aperitivo fugace con due colleghi e rientro a casa alle 19:30, perché è mercoledì ed meglio non fare tardi.
Uno sguardo al frigo semi vuoto dove però riesce a scovare, in un angolo dietro due lattine di birra, un sandwich ideale per rimpinguare un aperitivo abbastanza scarno, e via con un tuffo sul divano.
Andrea, in attesa di “Attacco al Potere 3” su Italia 1, inizia a fare zapping, più un’abitudine che una reale curiosità, ma viene subito catturato dalle immagini del Tg1 delle ore 20.00.
Cecilia Sala aveva fatto ritorno in Italia, a Ciampino appena un’ora prima.
Lo schermo riempito dalla faccia raggiante di una ragazza rimasta in una prigione iraniana per tre settimane. La scaletta del volo di Stato come un ponte fra il diritto raccontare e l’isolamento nel carcere di Evin.
Tocca terra, un abbraccio al fidanzato, poi ai genitori.
È a casa, è salva.
Queste pensa Andrea, questo hanno pensato un po’ tutti.
Andrea, però, dopo aver aperto una delle due lattine di birra superstiti, viene rapito ancor di più dalle parole che ascolta nei vari talk show della serata, che raccontano di 550 giornalisti, 550 Cecilia Sala, che sono in carcere semplicemente per aver svolto la professione di giornalisti.
La condizione dei giornalisti fornisce la misura della democrazia di un paese, ce ne accorgiamo quando raccontare diventa reato, oppure quando lo scotto di una verità opaca mette a repentaglio la stessa incolumità di chi vuole lucidarne i bordi attraverso la luce del racconto.
“Menomale che siamo in Italia, siamo fortunati e non ce ne accorgiamo”.
Questo pensa Andrea, “qui i giornalisti possono fare il proprio lavoro serenamente, o no?”
Una certezza e un dubbio, quasi superficiale, che però non distoglie Andrea dal prendere il cellulare e digitare parole chiave “giornalisti, Italia, pericoli, libertà giornalisti, opinione”….
Già, come siamo messi in Italia?
Ne parleremo nel prossimo articolo.