Il 4 novembre del 1918 rappresenta, nella storia italiana, una data cardine, uno spartiacque con un “prima” e un “dopo”. Viene, infatti, annunciato via radio il celeberrimo “Bollettino della vittoria”, destinato ad essere studiato mnemonicamente da generazioni intere di studenti per anni e anni, in cui sulle note della Marcia reale sabauda (all’epoca inno del Regno d’Italia) viene annunciato l’armistizio.
Il giorno prima, a Villa Giusti, lo Stato Maggiore dell’Esercito dell’Impero Austro-ungarico aveva siglato un accordo di pace con il nostro paese, sfinito da un triennio di guerra che si era dimostrato sfibrante. Se, prima del 1915, i poeti futuristi sotto la guida di Filippo Tommaso Marinetti inneggiavano alla guerra come a una purificazione dal sangue della quale sarebbero nate “nuove messi e nuovi fiori”, nel 1918 la situazione era estremamente differente.
Si presentavano, infatti, problemi di tipologia economica come i debiti contratti con banche d’oltreoceano per mantenere un’enorme macchina bellica. Problemi di tipologia diplomatica, perché adesso che la guerra era stata vinta bisognava decidere che cosa fare coi vinti in un’ottica che oscillava tra il desiderio di vendetta del francese George Clemenceau e il più mite inglese David Lloyd George, che non voleva umiliare gli sconfitti. Il 4 novembre, il giorno della vittoria, pose un insieme di problematiche non irrilevanti che lo rendono una congiuntura fondamentale nella genesi storica, sociale e politica del nostro Paese proprio perché rappresenta uno spartiacque. È il culmine di un processo, iniziato con la Prima guerra di indipendenza nel 1848, in cui l’Italia si era costruita e aveva via via assunto la concezione di sé come Nazione.
Al contempo è l’inizio di un’altra fase, che durerà invece fino al 1948, di declino dello stato liberale italiano, di nascita del fascismo, di riforme che produrranno la “Prima repubblica” destinata a durare fino a Mani Pulite.
La fase liberale tramontò perché, assieme a problemi di ordine economico e diplomatico, si posero anche problematiche sociali: migliaia di feriti, di menomati, di ultranazionalisti. Queste persone, mobilitate per andare al fronte, non erano disposte ad accettare il ritorno alla tradizionale politica italiana elitaria, fatta di conti e di baroni, e chiedevano a gran voce di poter dire la loro.
Tale era la frustrazione tra gli strati più bassi della popolazione che un politico populista di estrazione socialista dapprima e nazionalista poi, Benito Mussolini, fu in grado di intercettarla e di usarla per arrivare al potere interloquendo sia con le masse che coi politici del tempo, che convinse di essere l’alternativa al socialismo e di cui ottenne la fiducia. Il resto è storia.
Il 4 novembre è, quindi, un giorno davvero unico perché è uno di quei rari momenti (in 160 di storia italiana si contano sulle dita di una mano) in cui si è potuto dare una data certa alla storia.