Eccoci con l’avvocato Federico Scisca per la prima delle interviste con le quali andremo a esplorare il mondo del lavoro. Partiamo subito con un argomento di grande importanza: la distinzione tra lavoro autonomo e lavoro subordinato. Sappiamo che moltissimi datori di lavoro, più o meno consapevolmente, sbagliano nell’inquadrare il rapporto di lavoro che pongono in essere. Le conseguenze di questo errato inquadramento sono veramente rilevanti, sia per una parte sia per l’altra…
Avvocato Scisca, ci può spiegare in estrema sintesi cosa distingue il lavoro autonomo dal lavoro subordinato?
Certamente, la differenza essenziale tra lavoro autonomo e lavoro subordinato risiede nel grado di libertà e indipendenza che il lavoratore ha nell’esecuzione della propria attività lavorativa. Nel lavoro subordinato, il lavoratore è vincolato alle direttive di un datore di lavoro: deve seguire istruzioni precise, rispettare un orario definito, e operare secondo modalità organizzative stabilite dall’azienda. Questo rapporto è caratterizzato dal cosiddetto vincolo di subordinazione. Nel lavoro autonomo, invece, il lavoratore è libero di decidere come, quando e con quali strumenti svolgere la propria attività, a patto che rispetti i termini dell’accordo con il committente. Non esiste una gerarchia, ma un rapporto contrattuale basato su risultati.
Quindi avvocato ci spieghi bene quali sono gli elementi fondamentali per stabilire se un rapporto ha natura subordinata
Gli elementi che permettono di qualificare un rapporto come subordinato sono diversi. È bene però distinguere gli elementi “classificatori” di un rapporto di natura subordinata da quelli che invece la giurisprudenza declina come “indici sussidiari” di subordinazione.
Cosa non può mancare: il potere direttivo del datore di lavoro, che implica la possibilità di dare ordini e controllare il modo in cui il lavoratore svolge il proprio compito; il potere disciplinare/gerarchico, ossia la capacità del datore di applicare sanzioni in caso di inadempienza; il potere organizzativo, ossia la sottoposizione alle interferenze operative del datore di lavoro, al di là del mero coordinamento con quest’ultimo.
Il ruolo di meri indicatori, accessori ed utili, ma non essenziali, invece è attribuito, a titolo esemplificativo e non esaustivo a: stabile inserimento nell’organizzazione aziendale/continuità e non occasionalità della prestazione, la presenza di un orario di lavoro fisso, l’utilizzo di strumenti e mezzi forniti dall’azienda, la retribuzione periodica e l’assenza di rischio legato al prodotto finale della propria attività. L’unione di questi elementi, essenziali ed accessori, definiscono il rapporto di subordinazione.
Avvocato Scisca può farci un esempio di lavoro subordinato in cui si trovano tutti gli elementi che ci ha descritto?
Certo dottor Santini. Ecco un esempio dettagliato di come possono essere strutturate le attività in un rapporto di lavoro subordinato, prendendo come esempio un impiegato di banca. Il suo datore di lavoro è la Banca centrale XY e l’impiegato lavora presso la filiale di Milano. Ha un orario di lavoro preciso: dal lunedì al venerdì, dalle 8:30 alle 17:30, con un’ora di pausa pranzo. Gli orari possono essere modificati in base alle necessità dell’azienda, e all’impiegato potrebbe essere richiesto di lavorare occasionalmente il sabato o oltre l’orario standard in caso di necessità. Ha compiti e responsabilità ben individuabili, esempio l’accoglienza dei clienti allo sportello e assistenza nelle operazioni bancarie quotidiane, come prelievi, depositi, bonifici, e gestione dei reclami. Utilizza i locali e il PC della banca. Risponde direttamente al responsabile di filiale, che fornisce direttive specifiche riguardo ai compiti da svolgere e agli obiettivi da raggiungere. Il responsabile valuta periodicamente le prestazioni dell’impiegato attraverso un sistema di feedback e valutazioni di performance. L’impiegato riceve un salario mensile fisso, oltre a eventuali bonus basati sulle prestazioni individuali e sul raggiungimento degli obiettivi di filiale. Benefici aggiuntivi possono includere un piano sanitario aziendale, contributi per la previdenza complementare e riduzioni su prodotti e servizi bancari. Se sbagliasse potrebbe essere sanzionato con un provvedimento disciplinare.
Questo esempio mostra come il lavoro subordinato sia regolato da precise direttive organizzative, orari di lavoro fissi, e una chiara struttura gerarchica, con il lavoratore che svolge le sue attività all’interno di un sistema definito dal datore di lavoro.

Grazie avvocato, molto chiaro. Nel lavoro autonomo quali caratteristiche principali possiamo invece individuare?
La risposta appare scontata ed è la seguente: l’autonomia organizzativa, tratto distintivo rispetto alla subordinazione. Il lavoro autonomo è infatti definito come un’attività svolta da un lavoratore che si obbliga a compiere un’opera o un servizio con lavoro prevalentemente proprio, ma senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente. Ciò significa che il lavoratore autonomo ha piena libertà: può scegliere i tempi, i luoghi e i mezzi per svolgere il proprio lavoro. Inoltre, la retribuzione è solitamente legata al raggiungimento di un risultato specifico o alla consegna di un’opera, e non al tempo impiegato.
Avvocato Scisca potrebbe fare anche qui un esempio concreto di lavoro autonomo?
Eccolo dottore. Prendiamo il caso di un consulente informatico freelance. Lavora in modo indipendente, gestendo i propri clienti e progetti. Può lavorare da casa, in coworking, o direttamente nelle sedi dei clienti a seconda delle necessità del progetto. Stabilisce i propri orari in base agli accordi con i clienti e alle scadenze dei progetti. Non c’è un orario fisso, e la flessibilità è una delle caratteristiche principali del suo lavoro. Può lavorare anche nei weekend o di sera, se ritiene che sia necessario per completare i compiti. Essi possono essere a esempio analizzare i bisogni tecnologici dei clienti e proporre soluzioni software o hardware adatte. Opera in modo indipendente e non risponde a un supervisore diretto, ma deve soddisfare le aspettative dei clienti e rispettare gli accordi contrattuali. Stabilisce le proprie tariffe, che possono essere orarie, giornaliere o per progetto. Non riceve un salario fisso e i suoi guadagni dipendono dalla quantità e dalla tipologia dei progetti che riesce ad acquisire. Deve anche gestire autonomamente le proprie questioni fiscali e previdenziali, nonché l’assicurazione professionale. Essendo un lavoratore autonomo, si assume il rischio economico del proprio lavoro, compresa la possibilità di periodi senza incarichi. Deve quindi essere abile nella gestione finanziaria e nella ricerca continua di nuovi clienti per garantire un flusso di lavoro costante.
Questo esempio mostra chiaramente come il lavoro autonomo sia caratterizzato da una grande indipendenza, capacità organizzative e imprenditoriali. Il consulente deve essere proattivo nella gestione dei progetti e nella negoziazione con i clienti, oltre che nel mantenimento di un alto standard di lavoro per assicurarsi incarichi futuri.
Avvocato Scisca chiarissimo anche questo esempio. Con questi elementi sembra facile distinguere i due tipi di rapporti di lavoro ma sappiamo che esistono innumerevoli situazioni in cui è assai difficile distinguerli con sicurezza. Una zona grigia insomma…Cosa ci può dire al riguardo?
È vero, esistono situazioni cosiddette “grigie” in cui il confine tra autonomia e subordinazione è molto sottile. Non a caso, infatti, il D.Lgs. 81/2015, forse più conosciuto come “Jobs Act”, ha apportato modifiche significative alle situazioni in cui, maggiormente, in cui il datore di lavoro utilizzava un contratto con veste formalmente autonoma, mascherando un rapporto sostanzialmente di natura subordinata: le collaborazioni coordinate e continuative (co.co.co.), dove, pur in assenza di un vincolo strettamente gerarchico, il lavoratore opera con un certo grado di coordinamento stabilito dal committente. Tuttavia, l’esempio più significativo, ad oggi, è e rimane quello delle cosiddette “partite IVA improprie”, in cui un lavoratore, formalmente autonomo, svolge però attività continuativa, rispetta orari imposti e utilizza strumenti aziendali, di fatto comportandosi come un dipendente. In questi casi, è necessario un esame approfondito delle circostanze concrete, anche attraverso l’eventuale ricorso a verifiche ispettive.
Avvocato perché un lavoratore con contratto formalmente autonomo dovrebbe essere interessato a rivendicare, laddove possibile, un rapporto di lavoro di natura subordinata, sin dalla sua origine?
Principalmente perché, qualora un rapporto di lavoro autonomo dovesse essere successivamente riconosciuto come subordinato, il datore di lavoro potrebbe essere costretto a pagare contributi previdenziali arretrati e a corrispondere al lavoratore le eventuali differenze retributive che dovessero emergere da un confronto tra quanto effettivamente introitato e quanto invece egli avrebbe introitato in base alle norme collettive nazionali in vigore per le più svariate categorie di lavoro subordinato. Inoltre, il lavoratore potrebbe ottenere il riconoscimento di diritti come ferie, malattia retribuita, tredicesima e TFR. Complessivamente quindi il lavoratore potrebbe ottenere significativi vantaggi sotto molteplici profili, tanto più se il rapporto si è sviluppato per lungo tempo.
Avvocato Scisca una domanda che penso possa interessare molto ai lavoratori che ci leggono. Come può un lavoratore autonomo tutelarsi se sospetta di essere inquadrato impropriamente e di svolgere, di fatto, un lavoro subordinato?
Il primo importante passo è raccogliere documentazione e prove: poiché l’onere della prova spetta interamente su chi intende far valere un proprio (asserito) diritto (il lavoratore), è essenziale raccogliere elementi che dimostrino la reale natura del rapporto di lavoro. Questo può includere: contratti e accordi sottoscritti, e-mail, messaggi o comunicazioni avvenuti su vari supporti (es. WhatsApp) che dimostrano ordini impartiti dal datore di lavoro, prove di orari di lavoro imposti, come turni prefissati o registri di presenza, documenti relativi all’uso di strumenti forniti dall’azienda o accessi ai locali aziendali.
Assolutamente rilevante ed imprescindibile, tuttavia, resta la prova testimoniale, portata da colleghi o collaboratori che possano confermare la tesi della parte che rivendica il diritto. Peraltro l’esperienza mi dice che questo “aiuto” difficilmente arriverà, per ovvi timori, da persone che sono ancora legate da un rapporto di lavoro con il datore di lavoro coinvolto. Successivamente invece le cose cambiano…
Avvocato quali strumenti ha quindi a disposizione il lavoratore, per essere indirizzato nella verifica degli elementi distintivi del proprio rapporto di lavoro?
Consiglio sempre di non informarsi approssimativamente in rete, dove notoriamente circolano anche informazioni cosiddette “fake”, ma di esaminare la situazione con il supporto di un tecnico: ovviamente, caldeggio l’intervento di un avvocato esperto in diritto del lavoro, ma esistono anche realtà ugualmente utili ed efficaci, quali ad esempio i sindacati o lo stesso Ispettorato del Lavoro, per ottenere un parere che sia, sempre e comunque, professionale.
Avvocato, è vero che il cittadino è per lo più disincentivato ad aprire una vertenza o ad avviare un’azione legale, contro il proprio datore di lavoro?
Guardi dottor Santini, in realtà no! O meglio, a prescindere dal caso del lavoratore che sia ancora inserito nella realtà aziendale, che comprensibilmente manifesta più remore di chi ha già concluso il proprio rapporto di lavoro, il cittadino, se correttamente supportato da un professionista, tende a difendere i propri diritti e a non cadere nei più comuni luoghi comuni, quali i costi e, soprattutto, i pachidermici tempi della Giustizia. La realtà è ben più semplice di come appare a un non addetto ai lavori: se la questione non si risolve in sede amministrativa e/o stragiudiziale, il lavoratore può ricorrere al Tribunale del Lavoro per richiedere il riconoscimento della subordinazione. In questa sede, il giudice esaminerà il caso e, in presenza di prove sufficienti, potrà stabilire il corretto inquadramento del rapporto, con ogni conseguenza di legge.
Avvocato sin qui abbiamo guardato il problema con gli occhi del lavoratore, notoriamente la parte più debole del rapporto. Lato azienda, invece, cosa consiglierebbe a un datore di lavoro per evitare problemi legali?
Il concetto di “azienda” è sempre molto generico, diciamo che si deve abbracciare il concetto di “datore di lavoro” in senso lato, dalla piccola impresa individuale, passando per le società di persone (es. S.n.c.), a quelle di capitali (es. S.r.l., S.p.A.).
Il comune denominatore è però semplice: definire con chiarezza la natura del rapporto di lavoro, sin dal principio. Se si tratta di lavoro autonomo, è fondamentale che il lavoratore abbia un’effettiva libertà organizzativa e che non sia soggetto a direttive o controlli stringenti. In ogni caso, è utile affidarsi a un avvocato o a un consulente del lavoro per analizzare il rapporto, valutare la reale volontà contrattuale delle parti e redigere contratti chiari e conformi alla legge, autonomi o subordinati che siano.
Avvocato Scisca, prima di salutarci un’ultima domanda: ritiene che la distinzione tra lavoro autonomo e subordinato sia destinata a evolversi, a mutare nel tempo?
Sicuramente. Le dinamiche del mercato del lavoro cambiano ormai rapidamente, con l’emergere di forme ibride come il lavoro delle piattaforme digitali (Esempio tipico, i riders), il lavoro agile, lo smart working e il lavoro su progetto. Questi modelli sfidano le categorie tradizionali e richiedono un aggiornamento normativo per garantire un equilibrio tra flessibilità e diritti. È probabile che assisteremo a un’evoluzione delle tutele, adattate a queste nuove realtà.