Ogni genitore quando sceglie il nome per il proprio figlio non sa come sarà da grande. Potrebbe forse presumere e ipotizzare come diventerà e cosa farà, ma non ha certezze. Non può saperlo con sicurezza. Così, come anche quando al momento della nascita viene scelto il nome Matteo non si possono immaginare le dimensioni fisiche e quelle psico-attitudinali e nemmeno quelle professionali dei futuri ragazzi e poi dei futuri uomini.
Il Matteo evangelico dei dodici apostoli, era un pubblicano, uno di quelli che ritiravano i denari e andavano a riscuotere le imposte. Uno rispettato e temuto, un esattore delle tasse.
Se il nostro Matteo in questione fosse vissuto nel periodo degli antichi romani… nomen omen. Con il fisico possente che si ritrova oggi addosso si sarebbe potuto dichiarare come “tale nome tale professione”. Il suo incarico di collettore di pecunia sarebbe stato facilitato e l’erario ne avrebbe beneficiato.
Oggi invece di professione il nostro Matteo Dell’Acqua è un rugbista professionista, uno di quelli che è sempre meglio aver vicino, al proprio fianco e tenerselo come amico.
Matteo Dell’Acqua è nato a Cuggiono in provincia di Milano, classe 1991. Un colosso di 1,90 cm e 111 kg di muscoli, che, a noi appaiono molti di più e quando lo diciamo lui sorride. Questo per noi è un bene.
Domanda di prassi. Come e dove hai iniziato con questo sport?
Ho iniziato a giocare all’età di 12 anni nel Rugby Lainate, una squadra in provincia di Milano. Ho provato anche diversi sport come basket e calcio, ma non ho mai trovato grandi soddisfazioni e divertimento.

Come mai?
Probabilmente inconsciamente sapevo già di essere portato verso sport di contatto e a Lainate, la mia città, il rugby, era la prima scelta.
Così ho deciso di provare e ho iniziato alle scuole medie quando veniva proposto come attività sportiva. È stato proprio lì che ho conosciuto quelli che poi sarebbero diventati i miei due primi allenatori, Alessio e Carlo. Anche grazie a loro ho sempre avuto la voglia di migliorarmi per poter arrivare ai massimi livelli possibili.
Come si è sviluppata la carriera rugbistica?
Mentre giocavo nel Rugby Lainate ho preso parte a diversi raduni con le selezioni Regionali e Zonali (nord ovest) con le quali ho partecipato a diversi tornei, come ad esempio quello di Avignone nel 2007 (anno della coppa del mondo).
Sono poi passato all’ASR Milano in U18 e poi alla Grande Milano che militava nel campionato di serie A2 e A1. Durante quel periodo ero membro dell’Accademia Federale di Tirrenia dove, insieme ad altri atleti della mia età, ci allenavamo con allenatori federali tutta la settimana per poi tornare a giocare il weekend con il nostro Club di appartenenza.
Costanza e perseveranza dunque
Sorride. Un buon segno
Sì, serve tenacia. Quella è stata un’esperienza molto formativa senza dubbio a livello di crescita rugbistica, ma credo ancora di più a livello caratteriale.
Il rugby educa, è uno sport che insegna molto. Primo: non mollare, in campo e nella vita.
E poi…
Conclusa l’esperienza in Serie A sono passato in Eccellenza, l’attuale Top10, con i Crociati Parma rimanendoci per un anno e raggiungendo la salvezza.
Dopodiché ho iniziato il mio percorso a Reggio Emilia dove tutt’ora sono giocatore nella squadra Valorugby.
A livello internazionale ho indossato la maglia dell’Italia U19 e U20, con la quale ho giocato diverse partite, tra cui alcune nel torneo del 6 nazioni di categoria e due tournée in South Africa. Dal 2019 invece, ho deciso di accettare la chiamata dalla nazionale Brasiliana di rugby avendo origini brasiliane e soprattutto perché mi sento molto legato a questo paese che da sempre influenza la mia vita.
Con il Brasile ho esordito giocando contro i Maori All Backs, poi ho preso parte ad una edizione del torneo American Rugby Championship, Barbarians, qualify per il mondiale 2023 e diverse amichevoli. L’ultima partita è stata ad ottobre 2022 contro il Canada.
Rugby ma non solo rugby. Dove hai iniziato gli studi e cosa fai ora?
Ho studiato al liceo scientifico Majorana di Rho (Mi), fino al 4° anno, dopodiché ho terminato il 5° anno in Accademia e concludendo gli studi con la laurea in Scienze Motorie.
Complimenti. Il rugby come formazione ed esperienza di vita.
Sì. Infatti. Inoltre penso che il rugby non sia uno sport per tutti, come invece molti lo descrivono. Ovviamente tutti possono partecipare ed essere giocatori di rugby, ma con l’esperienza maturata, andando sempre più avanti, sia a livello di gioco e sia di preparazione mentale, credo che per essere dei rugbisti a 360 gradi non basti indossare una maglia.
Cosa serve per essere giocatori a 360 gradi e di alto livello come te?
Bisogna essere pronti e preparati fisicamente e su questo non c’è alcun dubbio.
Il rugby è uno sport crudo, di contatto. Ma non solo. Credo che anche la parte mentale sia fondamentale, l’aspetto psicologico e di predisposizione al sacrificio, sia in campo e sia fuori dal campo. Ogni cosa va costruita, ogni obiettivo allenato. Bisogna dedicare tempo e metterci forza di volontà, ogni giorno per arrivare ad essere al top.
Matteo Dell’Acqua. Rugby, ma non solo rugby.
Parlaci invece del tuo ruolo sul campo da rugby.
Gioco seconda linea, uno dei giocatori che indossano la maglia 4 oppure 5. Uno dei due posizionati dietro i piloni durante le fasi statiche della mischia chiusa. Nelle rimesse laterali invece sono un’opzione per saltare, recuperare l’ovale, oppure per intercettarlo.
Un ruolo poco visibile al grande pubblico e in cui bisogna essere un po’ selvaggi e un po’ curiosi…
Sì, in effetti per chi non ha l’occhio esperto “rugbistico” non è un ruolo molto visibile, facciamo un lavoro un po’ oscuro e poco percepibile. È un ruolo per appassionati competenti e siamo come tutti gli altri giocatori sempre sotto la lente dei nostri allenatori. Siamo… curiosi… nel senso che dobbiamo capire prima e interpretare cosa accadrà precedentemente al lancio dell’ovale in rimessa laterale, per poi procedere e agire di conseguenza.
Poche mete e tanto sacrificio.
Sì, infatti come dicevamo, è un ruolo non molto visibile da parte di chi non conosce approfonditamente il rugby. È soprattutto un ruolo “di servizio verso la squadra”.
Sul campo le soddisfazioni e le motivazioni si devono trovare soprattutto dentro sé stessi e questo aiuta anche a ricercarle nella vita.
Sensibilità e stabilità. Due qualità positive.
Raccontaci di una meta ideale, quella che sogni di realizzare.
Mah! In particolare non saprei.
La meta che vorrei fare, sicuramente è quella in una finale scudetto. Ma quello che è importante è che vinca la squadra. La meta serve a quello.
Aneddoti particolari della Tua vita rugbistica?
Episodi particolare non me ne vengono in mente.
Sorride. È un tipo riservato, va bene. Poi aggiunge.
Invece mi piace ricordare i primi allenamenti sul campo di rugby.
Quelli che facevamo dopo la scuola con Ale e Carlo. Eravamo un gruppo di ragazzini, tutti abbastanza timidi e senza un’idea di cosa potesse essere davvero questo sport, ma grazie a loro siamo riusciti a diventare una squadra unita che sapeva divertirsi insieme in campo, ma soprattutto fuori dal campo. Tanto che i miei migliori amici sono e saranno alcuni di questi ragazzi… ormai cresciuti.
In conclusione cosa possiamo aggiungere…
Mi piace ricordare come Valorugby oggi e prima il Rugby Reggio siano stati e sono la mia seconda casa. Ho imparato molto ed ho molti bei ricordi qui a Reggio Emilia.
Ringrazio tutti i giocatori che sono passati di qua, da molti di loro ho assorbito il concetto profondo del rugby imparando a giocare meglio. Ho acquisito esperienza in campo, mi hanno migliorato, sia come giocatore che come uomo… Poso ricordane alcuni?
È un nostro piacere
Quattro giocatori vorrei citare: Roberto Mandelli, Viliami VaKi, Florian Cazenave e Luciano Rodriguez. Senza di loro sicuramente non sarei il giocatore che sono ora.
Qui a Reggio Emilia oggi ho molti amici. Alcuni sono rimasti ed altri hanno intrapreso altre strade, ma sono convinto di una cosa…
Cosa?
Saremo sempre legati dalla nostra passione per il rugby.
Grazie Matteo, buon Rugby e buona Vita.
Foto per gentile concessione dell’intervistato