Nel corso della storia, le guerre hanno sempre seguito una sorta di schema comune: la penetrazione delle sfere di influenza esterne, ossia il modo di riorientarle, avveniva in maniera militare, cioè con un massiccio attacco da parte delle forze armate. Denominata “invasione”, questa prima fase aveva lo scopo di ridisegnare la propria area di influenza (anticamente essa coincideva coi territori su cui lo stato esercitava la propria sovranità), e ne seguiva una “stabilizzazione”.
La ricostruzione economica del Paese distrutto, che sedava eventuali rivolte dovute alla carenza di beni primari, propedeutica a far sì che lo spazio annesso al proprio dominio restasse tale.
A ribaltare questo paradigma sono stati, dal ’45 in poi, gli Stati Uniti: se già George Marshall aveva capito, nel 1947, il potere dell’economia nel compattare una sfera di influenza, i successivi stati maggiori hanno provato, col tempo, a integrare questo potere in una strategia bellica.
Nazioni come l’Afghanistan e l’Iraq nel 2001 rappresentano tentativi (non ben riusciti) di usare la penetrazione economica non tanto in chiave stabilizzatrice di un nuovo regime, ma in chiave destabilizzante per le strutture politiche preesistenti. Quest’idea di trasmissione culturale per cambiare un regime inverte le regole del gioco: se, fin ora, era stata principalmente la guerra a cambiare un regime e l’intervento economico aveva poi stabilizzato la situazione, adesso non è più così. Già ai tempi della Guerra di Corea, infatti, l’idea di “trasmettere i valori americani” (che è poi il “conquistare i cuori e le menti”) diviene di importanza maggiore già in teatro operativo, cioè in una fase in cui i risultati ottenuti manu militari non sono ancora stabili.
Questa nuova strategia in evoluzione, come dimostrato dai casi Iraq e Afghanistan, rappresenta ugualmente un passo avanti rispetto a quanto compiuto in millenni di storia bellica. Se, infatti, erano sempre state deputate alle alte sfere militari le costruzioni dei piani di guerra, ad oggi prende posto una pletora di tecnici civili e politici, che cercano di portare a una gestione differente del conflitto.
Certamente, gli insuccessi mediorientali ci dimostrano come questa strategia debba essere ancora migliorata, sta di fatto che lo studio della penetrazione economica delle aree di influenza, con successiva stabilizzazione militare resta, pur nella sua evoluzione partita dalla Corea e arrivata fino ad oggi, un probabile futuro per le attività belliche.
Foto di copertina di Nicole Marantelli – Skagen bunker, Danimarca