L’Unità d’Italia, avvenuta nel 1861, ha rappresentato un momento di grande cambiamento per il paese, anche in ambito scolastico. Le nuove istituzioni si sono poste l’obiettivo di creare un sistema scolastico unitario, capace di garantire a tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro provenienza, un’istruzione di base.
L’Italia ereditava dagli Stati preunitari una situazione scolastica molto precaria. Il tasso di analfabetismo era molto alto, soprattutto nelle aree rurali, e la scuola era spesso gestita dalla Chiesa, che aveva un interesse a preservare lo status quo.
Per superare queste difficoltà, le nuove istituzioni hanno promulgato una serie di leggi che hanno cercato di rendere l’istruzione più accessibile e di qualità.
Partiamo con la legge Casati – Riferimento legislativo della Legge Casati è: Legge 13 novembre 1859, n. 3725. Data: 13/11/1859, definita la prima legge importante, che ha stabilito l’istruzione elementare obbligatoria per tutti i bambini dai 6 ai 9 anni.
Il proponente fu Gabrio Casati, Conte e Barone di Pendivasca (Milano, 2 agosto 1798 – Milano, 13 novembre 1873). Fu ministro della pubblica istruzione per pochi mesi tra il 1859 e il 1860; in tale ruolo promosse una legge di riforma scolastica nel Regno Sabaudo, a cui è stato dato il suo nome e poi adottata e estesa al Regno d’Italia sotto il governo della Destra storica.
La legge Casati porta l’obbligo scolastico fino agli 8 anni. Organizza l’istruzione in 4 anni con due cicli (inferiore e superiore) di 2 anni ciascuno. Il biennio inferiore è obbligatorio. Il biennio inferiore poteva prevedere lo sdoppiamento in due classi: prima inferiore e prima superiore
La legge Casati introdusse l’obbligo scolastico in Italia, ma non tutti i bambini potevano accedervi. Le famiglie benestanti potevano permettersi insegnanti privati, mentre quelle povere erano costrette a mandare i figli a lavorare per aiutare il bilancio familiare.
I bambini che andavano a scuola dovevano percorrere lunghe distanze a piedi, poiché non c’erano automobili.
Quindi con la loro ‘precaria’ cartella fatta di tela di sacco o di cartone, o di assi di legno legati da una cinghia di cuoio a tener tutto (e quel tutto era un quaderno ed un astuccio con il pennino che s’intingeva nel calamaio), si incamminavano per raggiungere i banchi di scuola: banchi di legno stretti, talmente stretti che ogni movimento era un’impresa.
I banchi erano stretti e rigidi, per impedire agli alunni di distrarsi.
Le punizioni erano severe: chi disturbava veniva messo in piedi dietro la lavagna, con le mani sulle spalle, o costretto a inginocchiarsi sui ceci. In casi estremi, il maestro poteva ricorrere alla bacchetta.
Il maestro era una figura autorevole, che doveva garantire la disciplina in aula. Si occupava anche dell’igiene degli alunni, che dovevano avere il viso, le unghie, le mani e i capelli puliti. In particolare, le bambine con i capelli lunghi dovevano raccoglierli in trecce.
C’era la lavagna, ma dietro, inginocchiato sui ceci per non più di tre ore, di più non era consentito.
A chi non scriveva bene o a chi, con l’inchiostro, pasticciava quell’unico sobrio quaderno bianco che per i maestri dell’epoca, doveva essere impeccabile, venivano messe le orecchie d’asino. Per non parlare della ‘bacchetta’ che non era magica per niente, anzi tutt’altro, una vera e propria ‘tortura’ fisica inflitta a chi infrangeva le regole. In realtà era destinata ad altro, come per esempio scandire il ritmo nelle lezioni di canto, o percossa sulla cattedra per avere l’attenzione di qualche discolo impertinente. Queste forme di punizioni venivano comunque usate nonostante il regolamento scolastico del 1860 art. 98 recitasse così : “Sono vietate le parole ingiuriose, le percosse, i segni di ignominia, le pene corporali, come il costringere a star ginocchioni o colle braccia aperte…”.