Alicudi, misera e arretrata isola delle Eolie, nei primi del ‘900 vive un fenomeno di allucinazioni collettive dovute alla segale infestata da un fungo allucinogeno. Questo il fatto storico che sarà la base sulla quale Marta Lamalfa costruirà un romanzo corale di povertà e tentativo di riscatto.
Il romanzo si apre con un funerale. È morta la sorella gemella di Caterina. Viene gettata nella fossa comune. Le si canta, come da tradizione, quello che dovrà dire a chi incontrerà nel mondo dei morti: sono informazioni di vita quotidiana come se all’anima non si riuscisse a pensare quando manca il cibo.
Solo Caterina soffre per la mancanza della gemella che era anche la persona che prendeva le decisioni per entrambe, il solo cervello fra loro. Il lutto viene vissuto dagli altri familiari solo come un periodo di ulteriore ristrettezze.
La farina bianca costa troppo e il pane si fa con la farina della segala nera, la tizzonara, dal colore e dal sapore cattivo, ma mangiata da tutti per fame( solo l’anziano Pino si rifiuta di mangiarla). Ma il fungo che contamina la segale crea allucinazioni.
Gli abitanti dell’isola vedono le majare.“ chi sono le majare?” Chiede Rosina. “ sono delle donne come noi, solo che c’hanno i poteri” risponde Palmira. Caterina immagina di partecipare a un rituale di streghe, le majare, che volano nude, dopo essersi spalmate di un unguento magico ( ricorda quello che si spalmava la Margherita di Bulgakov per volare nuda, sulla scopa, nel cielo di Mosca), banchettano, si divertono.
“Però lo devi sapere che niente facile è. Prima di tutto nessuno ti mariterà mai. A te stessa ci devi pensare tu e tu sola. .. Tutti ti parleranno dietro. Li devi lasciar parlare…E poi, questa è una vita che è più dei morti che dei vivi”. Così Calòria, ritenuta una strega in paese, indica la vita delle majare a Caterina.
Nardino, fratellino di Caterina, siccome è un po’ zoppo, non è idoneo per lavorare nei campi, viene mandato allora a studiare a Lipari ospite dalla zia. Per la prima volta in vita sua indossa un paio di scarpe. A Lipari vede i lampioni e ne è affascinato. “ Ha deciso di diventare, da grande, quello che accende i lampioni. Quello che al tramonto gira la città e mette l’olio dove manca”.
Onofrio, padre di famiglia, ignorante, buon lavoratore viene attratto dalle parole di libertà e di cambiamento di Ferdinando. La rivoluzione, tanto lontana dal suo modo di pensare, raccontata da lui, sembra quasi possibile, “pensare che, a provarci, le cose possono cambiare “.
Ma le cose non andranno come sperato forse anche perché gli abitanti di Alicudi non hanno il coraggio, come dalle prime pagine del romanzo: ”Ad Alicudi, poca gente va per mare. Forse perché serve il coraggio..”
Coraggio che ha avuto invece la scrittrice a cimentarsi in un’opera dalla musicalità dialettale. I termini in dialetto stretto sono pochi ma la cadenza delle frasi ricorda molto il parlato. Sembra di esser lì, sull’isola, ad ascoltare gli abitanti del posto.
Marta Lamalfa è nata a Palmi, in Calabria, nel 1990. Vive a Roma, dove lavora per un’organizzazione umanitaria. È laureata in Lingue mediorientali, si è specializzata in Editoria e scrittura e ha studiato pianoforte a livello accademico. Ha frequentato il laboratorio annuale della Bottega di Narrazione, scuola di scrittura creativa diretta da Giulio Mozzi e Giorgia Tribuiani.

La intervistiamo a pochi giorni dalla vittoria del Premio Narrativa Fiesole under 40.
La storia è molto affascinante soprattutto perché realistica. La realtà ha superato l’immaginazione: immagino si sia documentata bene poi per creare i Suoi personaggi. Che fonti ha usato?
“Da Alexandre Dumas – che ha scritto dei bellissimi appunti del suo viaggio alle isole Eolie compiuto nel 1835- a Luigi Salvatore D’Asburgo-Lorena – principe di Toscana e arciduca d’Austria, che ha visitato le Eolie a fine‘800, e non solo ne ha scritto, ma le ha anche riprodotte in degli stupendi bozzetti che sono stati un riferimento molto importante dal punto di vista visivo – le fonti utilizzate sono state variegate. L’Archivio Storico Eoliano, è stato un punto di partenza prezioso per le informazioni su quanto succedeva nelle isole in quegli anni, dallo stile di vita, alla storia dei prigionieri esiliati nel Castello di Lipari, fino al
commercio della pietra pomice. Gli studi di Giuseppe Pitrè sono stati anche di grande ispirazione su alcuni usi e costumi siciliani e sulla lingua.
Per quanto riguarda la segale e le allucinazioni, esiste un bellissimo documentario, intitolato L’isola analogica, di Francesco Raganato, che riprende la teoria di Elio Zagami; mentre per la figura delle majare è stata essenziale Macrina Marilena Maffei, un’antropologa che ha svolto un corposissimo lavoro di ricerca sui racconti orali delle isole Eolie. Ho dovuto studiare tutto: dalla mietitura della segale alla stagionalità dei raccolti e delle semine.”
Nella Sua Calabria le nonne o le bisnonne Le raccontavano storie di streghe o superstizioni ancora in uso? Nel romanzo c’è qualche racconto che può rifarsi anche alla Sua terra?
“Avrei voluto godere di più dei miei nonni, ma purtroppo sono tutti morti quando ero troppo giovane. Ma la Calabria è una terra piena di magia e di folklore: si respirano per le strade, senza bisogno di andare a cercarli. Quelle che ad Alicudi chiamano majare, in Calabria si chiamano magare. Bagnara, un piccolo paese vicino al mio, è un posto in cui ancora oggi è uso togliere i malocchi attraverso delle tradizioni trasmesse di donna in donna.”

Pur essendo una storia ambientata in un’ isola, col mare, la spiaggia, la campagna, io l’ho trovato molto claustrofobica. I personaggi vogliono tutti scappare, dalla loro condizione di povertà e da se stessi. Caterina, quando crede di poter diventare una majara, pensa che “ vivrà in un mondo da cui si può scappare, che basta camminare per cambiare posto e vedere cose nuove”. Manca l’aria in un posto dove invece servono i “ tagliatori di vento “. Lei lavora per un’associazione umanitaria e ha a che fare con la miseria tutti i giorni: crede nella possibilità di riscatto?
“Non solo credo nella possibilità di un riscatto, ma credo anche che il mondo, man mano e ciclicamente, vada migliorando. Il lavoro che fanno tante associazioni umanitarie è importantissimo e, negli anni, stiamo riducendo le morti per malattie prevenibili così come la malnutrizione fra i bambini. Ognuno di noi può essere parte di questo riscatto, e credo che la speranza ne sia il motore. Nardino è il personaggio che all’interno del romanzo rappresenta la possibilità di un futuro migliore, nonostante sia quello che parte più svantaggiato, ma ogni personaggio conserva una piccola speranza di riscatto”.
Nella quarta di copertina del Suo precedente libro, 10 anni fa, si legge di Lei: “ Riporta li’ ( a Roma) il suo gatto rosso, il suo cappotto verde petrolio e la sua valigia glicine”. L’ho trovato molto poetico. Viene da chiedersi cosa ci fosse nella valigia e cosa ci metterebbe oggi nella Sua valigia?
“Nella valigia di allora c’erano tutte le speranze e le paure di chi, appena terminato un percorso di studi universitari, cerca di capire cosa fare della propria vita. Dove cercare un riparo. Oggi, preferirei non avere una valigia: di solito è piena di integratori, digestivi e fazzoletti. A parte gli scherzi, amo ancora tantissimo viaggiare, ma non riuscirei più a stabilirmi in una nuova città, a cambiare vita, plasmarla in modo diverso in base alle opportunità che mi vengono offerte.”
Ho sentito in una Sua intervista che il Suo libro sarà pubblicato in Francia in primavera. Seguirà personalmente la traduzione? Non dev’esser facile tradurre un testo come il Suo che, pur non essendo in dialetto, ne segue la musicalità.
“Come ha detto la mia agente: “se Camilleri è stato tradotto, non ti preoccupare”. Non ho seguito la traduzione personalmente: sono stata a disposizione della traduttrice per qualsiasi dubbio, ma mi sono affidata completamente a lei, perché ama questa storia e il suo linguaggio e sono certa che saprà restituirla al meglio al pubblico francese.”
Si sta preparando a scrivere un’altra storia?
“Finora ho avuto bisogno di seguire il romanzo e non ho avuto spazio per esplorare altre storie. Adesso sto cominciando a pensare a qualcosa di nuovo, ma è troppo presto per sapere se diventerà un romanzo”.