Libro e intervista esclusiva alla scrittrice
Perugina di nascita, maremmana d’adozione, la scrittrice Roberta Lepri ha scritto una decina di romanzi fra i quali “ Dna chef” vincitore del Premio Chianti 2024.
“La gentile” è il suo ultimo romanzo e ci racconta il tentativo di riscatto di Ester, nata da una famiglia di ebrei convertiti al cristianesimo per paura, nei primi del ‘900.
La protagonista
La scrittrice ci presenta Ester come una bambina cresciuta nell’odio. Detesta il fratello gemello nato con una disabilità; odia la madre che ha occhi solo per lui e che la penalizza in ogni situazione; odia il padre che non la difende, pur volendole bene; odia Alice che le ha mostrato una possibilità di miglioramento.
L‘autrice cita Pavese all’inizio del romanzo:” E che centomila abbiano avuto delusioni, diminuisce forse il dolore di chi vien deluso?”.
La vita di Ester sembra un continuum di delusioni: il padre che la delude più della madre perché lui è buono, Alice che la delude più del padre perché la illude. Ester non guarda mai se stessa, incolpa sempre gli altri.

Il riscatto con l’istruzione
Ester, ancora bambina, sola nel proprio malessere, vede una possibilità di miglioramento della propria condizione in Alice, una ricca baronessa che, col supporto del marito, Leopoldo Franchetti, realmente esistito, dà vita ad una scuola per i figli dei contadini.
Il pensiero va subito a quella realizzata alla fine dell’800 da Tolstoj che ha sempre creduto nell’ istruzione senza differenze di ceto sociale e ha sempre investito parte del proprio capitale a sostegno dei contadini e dei bisognosi.
La madre
Lo studio per Ester e, con esso, la possibilità di riscatto sociale, viene ostacolato in primis dalla stessa madre che sfrutta questa opportunità solo per ottenerne il sussidio previsto dalla famiglia Franchetti. Sembra non voler il bene per la figlia, non capirla; poi si scoprirà che la motivazione del suo comportamento è diversa. Ester non si arrende ma soffre. La madre vuole cancellare nella figlia la religione ebraica: non le fornisce nessun insegnamento, non l’avvia allo studio della Bibbia anzi, le chiede di rinnegare pubblicamente le sue origini e la obbliga a portare con sè un rosario e un libro di preghiere cattoliche perché l’avrebbero salvata ad un eventuale controllo.
Ester e Alice
il giorno e la notte. Ester brutta, povera, ignorante, con un cuore pieno d’odio che la fa vivere senza pace, sempre in lotta, un treno in corsa; Alice bella, delicata, molto ricca, molto buona.
La vita di Alice sembra votata ad aiutare gli altri, lei che, purtroppo non riesce ad aiutare se stessa perché non può guarire dalla sua malattia, non può avere figli: una tristezza attenuata dall’aiutare il prossimo, da buona cristiana.
L’autrice ci permette di seguire la vita di entrambe in un’alternanza di racconti e di riflessioni molto coinvolgente.
Ester è un ariete: va sempre avanti, rompe i muri ( come quello che si trova da un giorno all’altro sulla porta del suo negozio). Si sposa con un uomo che le dà tranquillità, a 19 anni ha già tre figli che allatta senza sosta ( allattando anche altri bambini), instancabile sul lavoro, vuole solo che i figli studino.
Riversa su di loro il suo desiderio d’istruzione. Ma Ester “non sa educare i propri figli, lei che avrebbe tanto voluto educare gli altri” diventando maestra, e non ci riesce nonostante il metodo Montessori, nato in quegli anni e di gran moda, del quale aveva letto un libro solo perché dedicato ad Alice.

Roberta Lepri, con molta disponibilità, si è prestata a dar luce ad alcune curiosità
200 pagine per una storia impegnativa per la base storica e per i temi trattati.
Com’è nato il romanzo? La preparazione ha richiesto molto tempo?
Nella mia mente già da anni c’erano molte idee e un punto fermo: raccontare l’eccezionale esperienza di Alice Hallgarten, che con la sua breve vita cambiò per sempre il tessuto sociale dei luoghi che si trovò ad abitare e l’intero destino del metodo educativo e didattico. Fu infatti la prima entusiasta sponsor di Maria Montessori e pubblicò a proprie spese la prima edizione de Il metodo della pedagogia Scientifica applicato all’educazione infantile. Fondò una delle prime scuole per i figli dei contadini che lavoravano come mezzadri nelle sue terre e in seguito anche Tela Umbra, un laboratorio di tessitura tutt’ora in funzione, in cui mise al lavoro giovani operaie (soprattutto ragazze madri) che potevano tenere con loro nell’opificio i propri bambini. Dal momento in cui ho incontrato il primo testo (Cara Marietta, le lettere di Alice Hallgarten alla direttrice della scuola di Montesca) sono trascorsi sei anni circa. I baroni Franchetti erano però mie vecchie conoscenze, dal momento che sono nata anche io a Città di Castello e sentivo parlare di loro dai miei nonni e dai miei bisnonni. La domanda “forte” a cui mi piaceva cercare una risposta era se potesse esistere la possibilità di fare del bene in maniera assoluta. Ester è nata dalla voglia di descrivere l’attrito tra beneficiato e benefattore, là dove l’opera filantropica non arriva a essere un atto d’amore personale ma rimane un gesto rivolto alla comunità. Volevo che il bene si trasformasse in rancore. Un rancore potente più dell’amore e anche della morte.
L’istruzione come riscatto sociale: sembra una tematica da primi ‘900, come Lei racconta nel romanzo, invece è ancora attuale in Paesi non così lontani da noi. In Italia di passi avanti ne abbiamo fatti nell’ultimo secolo: Lei è ottimista anche per il resto del mondo?
Tutto dipende da chi ha in mano le sorti dei popoli. Leopoldo Franchetti era un uomo della destra storica che aveva a cuore il benessere delle classi che gli erano subalterne e credeva fermamente nel potere dell’istruzione. Nonostante le sue immense ricchezze e i privilegi di cui indubbiamente godeva, non riteneva giusto tenere i propri contadini in una situazione simile a quella dei servi della gleba medioevali. Tant’è che finì per lasciare ai propri mezzadri le terre che occupavano. Il limite però sta nel concetto di elargizione.
La mentalità progressista di un singolo è niente in confronto alla volontà di progresso di una nazione. È la politica che deve agire. Finché i paesi in difficoltà saranno amministrati da governi fantoccio, asserviti ad altre nazioni che li sfruttano, o da estremisti che limitano lo studio (o lo vietano, soprattutto alle bambine) per via del fanatismo religioso, lo sviluppo non arriverà e non si farà nessun passo avanti. In un momento storico come quello che stiamo vivendo, sinceramente non credo ci sia spazio per l’ottimismo: nonostante una grande e rapida spinta tecnologica, i poveri sono sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi.
Il rapporto col mondo ebraico m’interessa da sempre. Come si è preparata per trattarlo nel romanzo? Il rapporto fra Ester e la madre è poco realistico nel mondo ebraico perché gli ebrei tengono in grande considerazione la donna in quanto portatrice del “ sangue del popolo eletto”: è la custode della casa, della famiglia, della tradizione ( è lei che apre la cerimonia di Shabbat). Qui sembra proprio esserci una mancanza di religiosità.
Scoprii da ragazzina che da parte materna eravamo ebrei, convertiti chissà quando. Questo avvenne in maniera piuttosto rocambolesca: mia madre, giudice popolare in un processo, conobbe un giudice di corte d’assise, ebreo e con il suo stesso cognome, che le chiarì come la radice di quel cognome non lasciasse dubbi. Ricerche effettuate in seguito lo confermarono. Nel romanzo in effetti c’è una vera mancanza di religiosità: Ester non ricorda più “come si fa” a essere ebrea. D’altra parte, è peculiare del suo personaggio aspirare a tutto ciò che non può avere e lottare di conseguenza. La madre cerca di forzarla a un’apparenza cristiana ma è funzionale solo a evitare persecuzioni che avverte incombenti, più che altro per se stessa. Non so se nel mondo ebraico possa essere poco realistico il loro rapporto, credo però che a ogni latitudine e in ogni epoca siano esistite ed esistano madri anaffettive e poco accudenti. In maniera indipendente dal livello di religiosità.
La copertina è molto d’impatto ed è stato il mio chiodo fisso perché pensavo all’uroboro finché non ho capito a cosa si riferisse. Segna comunque un momento importante del romanzo. L’ha scelta Lei?
È un braccialetto a forma di serpente che si morde la coda ma è comunque un uroboro. E simboleggia quindi l’eterno ritorno, l’immortalità e il tempo ciclico. Ultimo grande dono del grafico di Voland, Alberto Lecaldano.
Leggere un romanzo ambientato nel ‘900 fa sempre riflettere sul passato, sugli errori che abbiamo fatto. C’è qualche opera che L’ha segnata maggiormente o che vorrebbe consigliare?
Amo molto Il maestro e Margherita, che ho letto tre volte e credo sia stato un viatico perfetto per giungere a Voland, che da uno dei suoi personaggi ha preso il nome. Per i racconti, Sette storie gotiche di Karen Blixen.
Ester è un personaggio difficile ma ci si affeziona: finito il romanzo, mi mancava già. Quale personaggio ha amato in Letteratura o quale consiglio di lettura Le piacerebbe condividere?
Holden Caufield de Il giovane Holden è un ragazzo tenero, timido, squinternato e gentile. Lo sto rileggendo in questi giorni, perciò scelgo lui in mezzo a tanti altri. Il consiglio di lettura è: leggere. Saggi, poesie, racconti, romanzi di qualsiasi genere. È bello anche tenere sul comodino un’opera che abbia forma diaristica, per andare a dormire dopo aver letto un pensiero importante. Io ho Il mestiere di vivere di Cesare Pavese.
Sta già lavorando a un altro romanzo o si prende un po’ di pausa?
Sono in modalità nebulosa. Ho dentro di me la storia ma ancora non mi parla. Devo trovarle una voce.
La troverà sicuramente!
Grazie per la disponibilità
Leggerlo perchè:
E’ un romanzo al femminile che ci mostra delle possibilità: la vita è anche quella che scegliamo di vivere. Qui l’autrice, bravissima nel delineare i personaggi, ci offe molti spunti di riflessione.
neo
nessuno. Solo, personalmente, mi sarebbe piaciuto un maggior approfondimento sulla questione religiosa.