Al Piccolo teatro Strehler di Milano, Daria Bignardi intervista Emmanuel Carrère in occasione dell’uscita in Italia del suo libro, V13, che raccoglie i dettagli del processo per gli attentati terroristici di matrice islamica avvenuti a Parigi nel 2015. Il libro è una rielaborazione degli articoli che l’autore ha pubblicato con cadenza settimanale mentre seguiva le udienze.

Nonostante l’argomento un po’ ostico il colloquio inizia con una risata perché Daria inizia a raccontare la storia del come e del perché l’autore abbia deciso di seguire e fare un resoconto dell’intero processo: nella parte finale del libro c’è scritto che è stato il vicedirettore del giornale “l’Obs” a proporgli di seguire il processo, mentre Carrère risponde subito dicendo che non è vero, che è stato lui a proporlo!
Nonostante fosse una cosa terribile per me è stato un lavoro che sono stato felice di fare.
Il processo serve a inquadrare la sofferenza. Una deposizione, lo dice la parola, depone il dolore, o almeno una parte di esso, e poi c’è una restituzione da parte della giustizia.
Questa volta sono state più interessanti le storie delle vittime perché le testimonianze degli assassini non ci sono state e quelle dei collaboratori erano vuote e senza un senso. Di solito chi segue le cronache è più affascinato dalle storie dei cattivi.
Mi piace pensare che la giustizia è un teatro, una rappresentazione teatrale. La differenza è che ci sono molte più persone sul palcoscenico (e che a teatro di solito si conosce il testo prima).


Secondo Carrère l’obiettivo probabilmente è stato scelto con cura perché questa strage ha toccato tutti. Durante le indagini hanno trovato dei PC con altri possibili obiettivi ma erano gruppi ristretti di persone e ben identificabili, come estremisti cristiani, punk etc…
E io mi sono chiesto, ci avrebbe toccato allo stesso modo?
Daria: Come si esce da un trauma del genere?
Secondo l’autore la portata di un dolore è a cerchi concentrici. Lui ha provato all’inizio scetticismo verso le cose che sono state mostrate come pubblicità per la giustizia, come se dovessero dimostrare quello che è lo stato di diritto di fronte alla barbarie. In realtà poi c’è stata un’applicazione severa delle leggi, ognuno ha svolto il proprio ruolo con grande rigore. E infatti il processo è stato questo, è stato un processo esemplare. Ed era molto importante che lo fosse perché è stato un processo degli imputati, anche se non erano la parte più importante. È difficile capire se questo processo è stato la dimostrazione della nostra forza o della nostra debolezza. Io penso sia stato la nostra forza… perché l’alternativa era Guantanamo. E alla fine quindi le cose sono andate bene così.
Daria legge la parte del libro che parla dell’unico attentatore rimasto vivo, Salah Abdeslam:

Carrère dice che il presidente secondo lui ha vinto rispondendo con fermezza a delle dichiarazioni molto forti, ha segnalato la sua autorevolezza senza mai sconfinare nella mancanza di rispetto o nell’insulto.
L’allora presidente francese Hollande fece una degna deposizione dicendo che lui avrebbe fatto la stessa cosa, che avrebbe agito allo stesso modo. L’avvocato di Salah, l’attentatore, ha provato ad accusarlo, ma non c’è stato spazio.
Si potrebbe invece rimproverare della cose ai servizi segreti perché quelli al comando degli attentatori erano già schedati. D’altro canto non si possono neanche mettere in prigione le persone prima che abbiano commesso il fatto. È il dilemma nella giustizia per qualsiasi tipo di reato. In questo processo comunque ci sono dei condannati che sono stati accusati e incarcerati perché c’erano i motivi per credere che potessero commettere dei reati. In questo caso dunque c’è stata della giustizia preventiva, ma essa non è sempre possibile o giusta.
Daria: nel libro parli di un padre che invoca la pena di morte e odia chi prova a capire gli attentatori. Tu hai fatto un passo indietro in questi casi…
In queste situazioni si cerca di cogliere la complessità delle cose. Sicuramente questo personaggio colpiva molto.


Carrère parla poi della sua amica Nadia.
Nadia è la mamma di una giovane doccia uccisa in uno degli attentati. È dotata di forte personalità e carisma, e ha una voce potente. È di origini egiziane e parla arabo al punto che è la sola persona al processo a cui ho dato il libro da leggere per correggermi le cose che dicevo sul mondo arabo per essere sicuro di non aver scritto delle cose scorrette. Nella sua testimonianza si è trovata a dire che anche gli attentatori ad un certo punto della loro vita sono stati dei bambini che venivano portati a scuola dei genitori, esattamente come tutti noi. Cos’è successo poi nelle loro vite che li ha portati a compiere determinate azioni?
L’unico accusato rimasto in vita, Salah, fino a quel momento si era rifiutato di parlare, ma dopo le parole di Nadia ha deciso che voleva parlare. Lo aveva fatto riflettere la sua domanda su di loro da bambini: Salah dirà che lui non può ridarle la figlia ma le deve almeno la testimonianza. L’unico commento di Nadia alla fine è stato: eccellente nella forma, interessante nei contenuti.
Al processo hanno partecipato come ‘persone libere’ anche 3 ragazzi per cui non c’è stata la carcerazione preventiva, perché hanno aiutato Salah a scappare senza sapere o avere la consapevolezza di quello che stavano facendo. Sono stati coinvolti in un processo enorme che sicuramente ha toccato le loro vite. Sono dei ragazzi belgi che viaggiavano ogni giorno per venire al processo, non avevano casa a Parigi. Ho chiacchierato con loro, gli ho chiesto dove stavano, come si mantenevano e così via. Uno di loro in particolare mi ha ricordato Benigni perché raccontava al figlio di essere una guardia carceraria. Io ho provato più un senso di pietà che di pericolo. Siamo stati tutti sollevati del fatto che non siano stati incarcerati.
Daria: Quanto è importante in questo momento storico per chi racconta le cose che succedono nel mondo, andare a vedere quello che succede là fuori?
Non sono stato in Ucraina ma vorrei andare in Russia più che altro. Abbiamo raccontato tanto l’Ucraina ma nessuno ha raccontato qualcosa sulla Russia…e sta diventando una distopia assoluta. Da parte mia c’è molta curiosità ma anche paura.