L’urgenza della moda di trovare la chiave di volta è emersa alla Parigi Fashion Week e c’è stata una sfilata che ha messo in scena la “normalità”, il quotidiano, in tutte le sue sfaccettature.
Complice la crisi nera delle vendite, il significato dell’abbigliamento è al centro dei pensieri sia dei manager, che devono far quadrare i conti dei marchi, che degli stilisti, i quali, trovandosi a lavorare oppressi tra la pressione dei risultati e quella del delicato contesto geopolitico, non possono che interrogarsi su perché, come e cosa indossiamo oggi.



Anche a Parigi, continua quindi la riflessione degli stilisti sul senso del vestire contemporaneo, e su tutte, la sfilata di Balenciaga è lo specchio della realtà che ci circonda, un invito a riflettere su chi siamo, su come ci vestiamo e su cosa vogliamo comunicare attraverso i nostri abiti.
Demna Gvasalia, direttore creativo di Balenciaga, ha dichiarato che “Ciò che ci circonda ci accomuna indipendentemente dalla gerarchia sociale, e forse, in questi tempi attuali, l’unica cosa che possiamo fare è guardarci, e finalmente riconoscerci”.


Demna, come sempre si muove sul filo sottile tra ironia e critica sociale, tra presa in giro e presa di coscienza: in un set completamente nero, con sedute semplici e un corridoio stretto e illuminato, va in scena una “lotta di classe” con abiti “standard”. C’è la divisa dell’”impiegato e la tuta del “maranza”, signorotte con finte pellicce, segretarie con camicie dal colletto alzato e occhiali a mascherina, appassionati di motorsport con casco e polo della domenica. E poi, le comparse queer e “quelli della notte” che la mattina sono sempre in hangover.
Personaggi stereotipati, che sembrano usciti da un centro commerciale di provincia o che potresti incontrare la domenica pomeriggio nel centro di una grande città, con abiti dozzinali altrettanto stereotipati, che però, avranno cartellini a tre zeri.
Quindi, pronti nell’Autunno/Inverno 2025-2026 ad essere dei veri Malandra?
Del resto, questa È LA VIBE