
Miseri, sbalorditi mortali. Meritate di finire così. In fondo, lo meritiamo tutti.
Così recita la copertina, così le prime righe del romanzo. Ma come meritiamo di finire, ci viene chiarito poco dopo e non è piacevole.
Il romanzo si apre con una scena che non va per il sottile: la signora Marisol, una vecchietta, in apparenza gracile e indifesa, uccide e si ciba di tre uomini e un bambino. Tutto grazie all’aiuto del suo fedele assistente Gonzalo che, dopo averle portato il “pasto”, fa un passo indietro e fa risuonare nella stanza, la stessa musica di sempre: Per l’ennesima volta è costretto a sorbirsi i gorgheggi di Charles Trenet che modula allegramente “Il pleut dans ma chambre”.
Eppure.. È esistito un tempo in cui a Gonzalo era stata omessa grazia della contentezza. Sì era innamorato di una compagna d’università, Gloria, e avevano avuto una figlia poco dopo essersi laureati. Ma Sua figlia aveva smesso di sembrare umana quando aveva otto anni. Una malattia rara l’aveva resa un vegetale in una clinica.
Ines, sua figlia oggi, ha ventiquattro anni, è ricoverata nella Clinica Villa Rubén, dove tutti sognano. I vivi, ì dormienti. Forse anche i morti. Gonzalo, tutti i giorni va a trovarla, la bacia, le rimbocca le coperte, le sistema la cannula dell’irrorazione e accende il registratore per farle ascoltare la sua musica preferita. Iniziano la melodia e riaffiorano le immagini, nella mente di Gonzalo, della danza sotto la pioggia: Gene Kelly e Debbie Reynolds ballano in un film visto decine di volte.
La morte fa paura e non viene mai nominata. La sig.ina Marisol fa vedere a Gonzalo una foto di quando era giovane e dice che a lei è toccata la peggiore delle malattie. Continua dicendo che la sua malattia è la più antica del mondo e si chiama “fame”.
Finale con colpo di scena

Stefano Colavita, alias Ade Zeno, Torino 1979. Scrittore, autore di numerosi cortometraggi premiati e di un radiodramma andato in onda su Rai3, cofondatore della rivista letteraria Atti impuri. Ha vinto il Premio Campiello proprio con L’incanto del pesce luna nel 2020.
Lo abbiamo intervistato.
L’incanto del pesce luna: un titolo che fa sognare. Un romanzo che fa piangere e fa paura. Qual era il Suo desiderio scrivendo questo libro?
Non mi è mai capitato di scrivere sotto l’impulso di un desiderio. Per quanto mi riguarda il corpo a corpo con la scrittura è solo un tentativo di mettere ordine allo sconquasso che ho nella testa. Si tratta di un’esperienza piuttosto faticosa, per altro, che affronto sempre con un senso di frustrazione e sconfitta. Anch’io piango e ho paura, insomma. Ma mi auguro che ai miei lettori succeda per ragioni diverse.
Il cannibalismo fa parte degli incubi ricorrenti nei film horror. Per Lei ha un significato particolare? Perché parlarne?
Si tratta di un tema da leggere in chiave allegorica, credo, non avevo certo intenzione di scrivere una storia horror. Semplificando molto, definirei il cannibalismo dell’Incanto come una metafora del potere cieco che prevarica sui più deboli. Il mondo in cui viviamo funziona così, basta guardare la gentaglia che ci governa per rendersene conto.
Il romanzo è breve ma alcune immagini sono molto forti e restano nel lettore. Ha pensato di farne un film?
Sì. Ho ricevuto anche qualche proposta, ma alla fine non se ne è fatto niente.
Nel romanzo c’è tanta musica che riempie soprattutto il silenzio che ora c’è fra padre e figlia. La musica è una Sua passione?
Sono cresciuto ascoltando i Beatles, De Andrè, e un vecchio disco di Bob Dylan che mio padre metteva sempre quando ero piccolo. Poi sono arrivati Miles Davis e Chet Baker, così mi sono avvicinato al jazz, iniziando perfino a emettere qualche vagito in una tromba. La mia formazione umana e poetica, comunque, la devo soprattutto al grunge di Seattle.

Se si può chiedere una curiosità, da dove viene il Suo pseudonimo?
È una storia vecchia, sciocca, che non vale la pena raccontare.
Nelle note dell’autore, svela quale sia il Suo lavoro ed è un altro colpo di scena (ma non lo sveliamo): è un lavoro che fa riflettere molto.
È una professione insolita, sì, che costringe chi la esercita a confrontarsi quotidianamente con l’altrui dolore. Negli ultimi mesi, dopo undici anni di onorata carriera, ho deciso di prendermi una pausa, chiedendo il part-time. Ora mi dedico di più alla scrittura, e all’insegnamento.
Domanda direi di rito (ma soprattutto curiosità mia): le letture fondamentali per Lei. Naturalmente poi leggeremo il Suo nuovo romanzo “I santi mostri”.
L’elenco risulterebbe lungo e noioso. Per restare sul semplice, diciamo che devo avere sempre a portata di mano Kafka, Borges e Bolaño. Ma gli autori che preferisco sono quelli che non ho ancora letto.
Leggerlo oggi perché
Perchè il romanzo offre una grande riflessione sui temi che ci mettono più in crisi: l’amore e la morte. Quanto siamo disposti a dare? Vale la pena perdere la nostra umanità in cambio della speranza?
Pregio
La storia horror sottende una grande riflessione sulla vita e sulle scelte che ci troviamo a fare.
Neo
Troppo breve.. passo a leggere I santi mostri.