Il radicale cambiamento politico intervenuto negli Stati Uniti con la seconda presidenza Trump pone l’Europa, ovvero l’UE più le nazioni che di quest’ultima non sono parte, a cominciare dalla Gran Bretagna, in una condizione assolutamente diversa da quella determinatasi dal 1945 e poi dagli anni Novanta dello scorso secolo.
La potenza americana non vuole essere più “amica” del Vecchio Continente. Non necessariamente “nemica”, almeno si spera, ma certamente non più la sua tutrice militare. Non è ancora chiaro cosa la nuova e radicale Amministrazione intenda fare con la NATO, data la imprevedibilità dell’uomo che siede alla Casa Bianca. Ma certamente, se l’Alleanza Atlantica sopravvivrà al ciclone MAGA, i costi che gli europei dovranno sopportare per mantenere la propria adesione saranno assai maggiori di quelli sostenuti in tutti questi anni.
Non è neanche detto che l’atteggiamento statunitense nei nostri confronti rimanga quello trapelato nella famosa chat riservata che tale non si è rivelata, né quello esplicitato dal vice-presidente Vance e dallo stesso Trump in più occasioni. Se gli USA, come auspicabile, rimarranno una democrazia è possibile che una nuova e diversa Amministrazione, in futuro, recuperi la relazione euroatlantica secondo canoni più tradizionali. Ma anche in questo caso è difficile immaginare che tutto ritornerà come prima.
L’Unione Europea ma anche l’intero continente nel suo insieme devono dunque attrezzarsi per affrontare un tempo nuovo. Limitandoci qui ai problemi della UE, essa dovrà confrontarsi con moltissimi problemi di varia natura, non ultimo naturalmente quelli di tipo finanziario. Ma prima di ogni altro essa dovrà risolvere o quanto meno gestire al meglio tre questioni basilari.
La prima è l’atavica divisione fra paesi settentrionali e paesi mediterranei. Fra i primi, che amano definirsi “frugali”, e i secondi più inclini a spendere soldi che non hanno; fra rigore luterano e solidarismo cattolico; fra culto del pareggio di bilancio e religione dell’ottimismo imperniata su una poco responsabile considerazione del debito. Comunque la si pensi, questa divisione c’è e ha sino ad oggi molto pesato nelle relazioni fra gli stati membri.
Next Generation EU è stato un primo segnale di cambiamento rispetto a questo quadro per certi versi stereotipato, ma era la risposta ad una pandemia, dunque ad un’emergenza improvvisa. Ora invece ReArmEU, ribattezzato Readiness 2030, può essere la chiave di volta per cambiare l’intero approccio al tema del debito comune. La storica decisione del Bundestag tedesco con la quale è saltato il vincolo costituzionale del cosiddetto “freno al debito” è davvero un cambio di paradigma che può far mutare verso all’Unione. Oggi il tema è quello della Difesa, ma domani potrebbe essere quello dell’Ambiente o quello inerente l’innovazione tecnologica, per accennare a due questioni della massima importanza.
La seconda è pure essa una divisione culturale dettata non solo dalla geografia ma anche e soprattutto dalla storia più recente, ed è quella fra est e ovest dell’Europa. Per i paesi orientali rimasti decenni sotto il giogo sovietico la loro partecipazione alla NATO e alla UE ha significato innanzitutto una protezione da sempre possibili ritorni imperiali dell’orso russo, una protezione sin qui garantita in primis dagli Stati Uniti. Questo elemento per essi decisivo li ha condotti ad una integrazione europea tesa a ottenere quanto più possibile in tema di sostegno economico ma a cedere quanto meno possibile dal punto di vista dell’autonomia nazionale, sfruttando abilmente la clausola del voto all’unanimità e quella del diritto di veto che regolano il metodo intergovernativo che ha retto la UE sino ad oggi. Ora però gli USA si allontanano e dunque la protezione diverrà minore e necessariamente sarà più in capo all’Europa, determinando in quelle nazioni un inevitabile cambio di atteggiamento verso Bruxelles. Almeno, è quanto dovrebbe accadere. Poi vedremo se sarà davvero così.
La terza questione è politica e definirà le prime due, come sempre accade perché alla fine è sempre la politica a definire l’andamento della Storia.
La crescita elettorale, sia a est che a ovest, sia a nord che a sud, di movimenti e partiti che, alimentati da un populismo veicolato per lo più via social, hanno espliciti connotati nazionalisti, sovranisti, antieuropeisti tendenti a favorire la narrazione putiniana di un occidente decadente in quanto corroso nelle sue fondamenta da un eccesso di libertarismo ora da limitare se non da abbattere. Ma tutto quanto ruota intorno a stato di diritto e libertà di partecipazione e informazione è principio fondamentale dell’Unione: e quindi il suo destino è legato alla sconfitta di queste pulsioni reazionarie, certamente favorite – e questo è il vero dato col quale bisogna fare i conti – da una condizione economica che ormai fatica sempre più a garantire quel Welfare State che ha reso l’Europa un luogo ambìto in cui vivere. Se crolla il Welfare rischia di crollare anche quell’Europa.
È questa la sfida che l’Unione, abbandonata dagli Stati Uniti, deve provare a vincere.