La NKVD, il Comitato per la sicurezza dello Stato, nonché polizia segreta dell’Unione Sovietica, “aveva un potere pressoché illimitato sulle persone”. Questa la premessa, alla cattura del giovane Begin.
Siamo nel 1940, poco dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale e Menachem Begin viene arretrato. A distanza di dodici anni, basandosi sulla sola memoria, narrerà questa terribile esperienza. Cinquan’anni dopo il suo arresto, il verbale dei suoi interrogatori viene ritrovato negli archivi del KGB. Il libro uscì nl 1953 e destò molto clamore perchè era la prima testimonianza in Russia di un detenuto nel gulag: anticipava infatti di tre anni le rivelazioni del XX Congresso del Partito Comunista Sovietico (1956) sui crimini di Stalin e anticipava di nove anni il famosissimo “ Una giornata con Ivan Denisovic” di Solzenicyn.
Per chi viveva in Russia era “ normale” essere arrestato in qualsiasi momento. Begin non si stupisce dell’arresto e non si sottrae agli interrogatori: ammette di essere un attivista politico, sionista e di essere il capo della Betar in Polonia.
Una posizione chiara, da subito, una fierezza che indispone presto il suo inquisitore. Begin non si sottrae, non tentenna, è fiero di sé.
La sua non era un’attività svolta in segreto. Il gruppo aveva da poco rinnovato il proprio giuramento di rimanere fedeli agli insegnamenti del nostro maestro. Fedeli al principio di rinascita della nostra nazione in ogni circostanza ed a ogni costo, sotto la sventolante bandiera bianca e azzurra.
Naturalmente queste attività venivano intese come crimini politici ma in realtà non nascevano con questo scopo.
Uno come lui, arrestato come criminale politico, viene accusato di sabotaggio e spionaggio. Ma viene trattenuto soprattutto perchè possa fornire informazioni sulle future attività anti governative. L’inquisitore gli lascia un foglio per scrivere una propria dichiarazione dicendogli che può anche scrivere in yiddish tanto è ebreo anche lui (perché è il suo carceriere, ci chiediamo).

L’autorità carceraria che conduce l’interrogatorio è “l’inquisitore”, un termine fortemente evocativo dal punto di vista letterario perché il pensiero va a “ La leggenda del grande inquisitore “: una delle accuse più memorabili al messaggio di libertà e amore di Gesù.
Visto che le prime confessioni non arrivano, gli viene tolto il libro che stava leggendo e lo si costringe a stare 60 ore davanti ad un muro. Dopo tre notti senza dormire si muore, così recita il Talmud e Begin avrebbe dormito anche seduto e con la forte luce accesa, se la guardia non fosse stata incaricata di tenerlo sveglio. Il muro, diventa l’occasione per ricordare momenti della sua vita. un punto sul muro può portarti fuori dalla stanza dove sei detenuto, al di là degli stretti confini dove sei detenuto, lontano da quell’edificio pieno di orrori .
Il potere della mente per sopravvivere fa pensare ad un altro libro nato per denunciare i soprusi nei carceri. Andiamo oltreoceano nel 1915, Jack London pubblica uno dei suoi capolavori: Il vagabondo delle stelle. Il protagonista del romanzo, condannato a morte, utilizza una meditazione profonda che gli permette di uscire dal corpo per non sentire il dolore della camicia di forza e delle altre punizioni inflittegli dai suoi carcerieri.
I regimi vanno e vengono ma le prigioni restano sempre…L’umanità aspetta ancora la rivoluzione delle rivoluzioni: quella che abolirà le prigioni: così Begin riflette a distanza di 12 anni dalla sua prigionia.
La prigione centrale di Vilna, dove era detenuto, era stata costruita dal regime zarista e portava le tracce sui propri muri dei numerosi detenuti rinchiusi li’ negli anni: rivoluzionari, polacchi, lituani.. si erano alternati in prigione e avevano lasciato un segno del loro passaggio sui muri, segni indelebili. Gli arredi gli stessi di tutte le prigioni: un materasso di paglia, uno sgabello, il secchio. Cambia cosa si chiede il detenuto imprigionato dal NKVD: non quando uscirò bensì se uscirò mai da qui.

Dal carcere, Begin viene poi condannato ad un campo di lavoro correttivo: qui la prigionia diventa più pesante.
Durante l’ennesimo interrogatorio, per una frase detta senza pensarci, la discussione passa alla religione: Betar ammette di essere nelle mani di Dio e di credere in Dio e, in risposta, il carceriere gli dice che da lui non se lo sarebbe aspettato perché è “un uomo istruito”. Per il carceriere, gli scienziati non possono credere in Dio mentre per Begin lavorano su piani diversi: la scienza ha spiegato i processi di formazione della vita ma Dio risponde “al mistero della vita “. In cella tanti i detenuti che riscoprono la fede, come il compagno di cella dello stesso Begin. Dostoevskij in “Memorie di una casa di morti”, che nasce dalla sua esperienza di prigioniero politico in Siberia, riflette sulla necessità di avere la speranza: unica forza che unisce i prigionieri delle diverse religioni in carcere.
Begin fa due considerazione sui campi di detenzione russi: i prigionieri non giacciono nell’inerzia come nei paesi capitalistici ma lavorano e costruiscono; i prigionieri regolano autonomamente i loro problemi. Le autorità si limitano a supervisionare il processo della loro educazione attraverso un lavoro onesto.
I campi di sterminio tedeschi e i campi di lavoro sovietici erano entrambi opera del demonio. La differenza fra di loro è solo una: la speranza. Il prigioniero dei campi nazisti non l’aveva, quello dei campi di lavoro sovietici sì, anche se tenue.
Il pensiero va a chi, nei campi di concentramento, la speranza l’aveva ancora. E se Dio non mi aiuterà più, allora sarò io ad aiutare Dio. In questa frase, tratta dal suo Diario (1941-1943) c’è l’immensità del pensiero di Etty Hillesum. Lei è un faro per tutti noi.
Leggerlo perché
È un documento storico
Neo
troppo breve