Pasqua è la festa della luce che ritorna, della vita che riprende fiato dopo il buio. Ma non è una luce abbagliante, né una vita che dimentica il dolore. È, piuttosto, una rinascita fragile e vera, che nasce dalla ferita, passa attraverso il silenzio, e sceglie di rimettere in cammino ciò che sembrava finito.
La pace è costruzione quotidiana
In tempi come questi, dove la parola pace rischia di diventare una formula vuota, celebrata più nei discorsi che nei fatti, la Pasqua arriva a ricordarci che la pace è una costruzione quotidiana. Non è assenza di conflitto, ma presenza attiva di gesti che scelgono la vita, che curano invece di dividere, che perdonano anche quando sarebbe più facile restare fermi nell’odio.
Un atto di amore
In troppe parti del mondo, e non solo in quelle segnate dalla guerra, regna ancora la logica della forza, dell’umiliazione, dell’indifferenza. Ma la Pasqua rovescia ogni logica di potere: il sepolcro vuoto non è un atto di forza, è il segno di un amore che vince senza combattere, che resiste senza vendicarsi, che cambia il mondo senza imporsi.
La via della giustizia
Celebrare la Pasqua significa allora riconoscere che la pace comincia da noi. Nei toni che scegliamo, nei conflitti che smussiamo, nelle distanze che proviamo a colmare. Significa credere che c’è una via diversa da quella della sopraffazione: una via lenta, faticosa, ma possibile. La via della tenerezza, della giustizia, della cura.
Pasqua è in ogni gesto di pace
Ecco il senso profondo di questa festa: non la promessa di un mondo perfetto, ma l’annuncio che, anche nel disordine e nella paura, la vita può ancora fiorire. E che ogni gesto di pace è già una Pasqua, una pietra che si sposta, una luce che torna.