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Oggi l’Europa attraversa un momento di vera e propria emergenza che potrebbe trasformarsi in crisi, in seno agli stessi valori fondativi dell’Unione. A sessantacinque anni dai Trattati di Roma se da un lato è opportuno allargarne i confini includendo Nazioni che ormai sono pronte a condividerne le finalità, dall’altro si rende necessaria una “revisione”, in termini di modernizzazione e ulteriore democrazia della Carta di Lisbona. Il presente, comunque, ci racconta che Commissione europea e Parlamento sono ancora alle prese con strascichi e riprese pandemiche e con la “gatta da pelare” Russia- Ucraina che, non solo pone questioni in termini di difesa comune ma, nell’immediato, ha aperto il fronte economico e ancor di più energetico. Abbiamo incontrato e rivolto alcune domande a Carmine Pacente, esperto di Europa e sue problematiche.
Al netto del conflitto in Ucraina, che Europa ci dobbiamo aspettare nei prossimi anni?
Come spesso è accaduto nel corso della sua storia, il processo di integrazione europea si è rafforzato durante i periodi di grandi crisi e di evidenti difficoltà. Ho la sensazione e soprattutto mi auguro che stia accadendo anche questa volta. In una prima fase della pandemia, per esempio, gli Stati membri hanno cominciato a procedere in ordine sparso. In una fase successiva invece, grazie soprattutto al lavoro della Commissione europea, si è capito che era molto più opportuno e utile per tutti lavorare in maniera coordinata. Ed è successo anche in ambiti in cui le competenze sono nazionali più che europee. È stato il caso del blocco della fornitura di dispositivi sanitari da parte di alcuni Stati, ambito nel quale la Commissione europea per intervenire ha trovato un intelligente escamotage attraverso la sua competenza sul mercato interno. E potremmo fare molto altri esempi.
Quanto sono determinanti, in funzione di unità europea, le scelte dei singoli Stati appartenenti all’UE in relazione alla transizione ecologica/energetica?
Questo è un altro grande tema sul quale il lavoro delle istituzioni europee sta rafforzando il processo di integrazione. Per esempio sia il Pnrr che la programmazione europea 2021-2027 hanno tra le loro principali finalità proprio la transizione ecologica oltre a quella digitale e alla coesione sociale. E recentemente la Commissione europea ha lanciato il cosiddetto RepowerEu, un grande piano energetico per ridurre la dipendenza europea dalla Russia in questa fase storica così drammatica e complessa. Mi sembra che gli Stati nazionali stiano capendo che lavorare insieme sia difficile ma necessario per avere un ruolo nella grandi partite internazionali dalle quali dipende il nostro futuro.
Abbiamo constatato che l’allargamento a Est dell’Unione, non sempre ha prodotto buoni risultati in termini di convergenza di vedute. Oggi con l’ipotesi di ulteriore inclusione di Paesi come Moldova, Georgia e Ucraina e di proposta ad Albania, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Serbia, Montenegro e Macedonia del Nord, come cambierebbero le politiche europee?
Quello dell’allargamento dell’unione europea è sempre stato un tema complesso. Il grande dibattito ruota intorno al “dilemma” se sia più utile prima rafforzare le Istituzioni europee e poi procedere con l’allargamento ad altri Paesi oppure se sia prioritario l’allargamento anche a costo di esaltare visioni spesso diverse anche rispetto a temi fondamentali da parte dei diversi Stati membri. Sappiamo anche però che per poter aderire all’Unione i tempi sono piuttosto lunghi e i criteri severi. Ci sono Paesi candidati da tanti anni che ancora stanno attendendo. In ogni caso una possibile mediazione tra le due visioni è procedere a diverse velocità come si è fatto anche per la moneta unica.
Se, almeno nelle intenzioni, l’Unione Europea sta andando nella direzione di costituzione di un blocco solido, anche in funzione di un rafforzamento delle politiche unitarie militari, avrebbe ancora senso la presenza di un’istituzione come la NATO nel Vecchio Continente?
La mia opinione è che la politica estera e la difesa europea siano una grande priorità. La mia sensazione è che i processi per poterle realizzare compiutamente siano complessi e i tempi ancora molto lunghi.