Entrare nella articolata e complessa dialettica di Antonio Gramsci, non è certo cosa facile. E questo, anche perché il suo pensiero e ben presente, almeno nelle intenzioni, nella nostra società.
Tra i tanti aspetti che Antonio Gramsci ha affrontato e tra le tante strade che ha deciso di percorrere, una di sicuro, ricopre un ruolo fondamentale nel suo percorso di studi e di ricerca.
Mi riferisco al tema pedagogico che, unitamente a quello politico, dal quale però tenterò di restare lontano, offre la cifra distintiva del pensiero sull’educazione, la formazione e sulla scuola. In questa disamina, è evidente, che dovremo affrontare il pensiero gramsciano, intrecciandolo, in modo stretto, al periodo storico nel quel si sviluppa.
Solo così, sarà possibile coglierne la visione futura che il filosofo sardo ha contribuito a costruire nei diversi ambiti della sua ricerca.
Il rapporto tra Gramsci e Croce
Per iniziare, è necessario partire dal concetto di libertà di insegnamento o libertà della scuola che al tempo rappresentava una chimera nell’universo educazione.
In generale, si considerava come male principale della scuola il fatto che essa fosse monopolio dello Stato e da più parti arrivavano stimoli, in funzione di un suo miglioramento, nella libera concorrenza rappresentata dalla scuola privata.
È evidente che di questa “evoluzione” si avvantaggiarono soprattutto gli ambienti cattolici che della scuola privata, per lungo tempo, ne detennero il monopolio e che nella richiesta di libertà della scuola, chiedevano l’allontanamento del controllo statale sull’educazione rivendicando il diritto di conformare le coscienze secondo i dogmi a loro cari.
Nella battaglia contro la scuola di Stato, il pensiero idealista si rivelò il migliore alleato dei cattolici, che inserirono al primo punto del loro programma scolastico, la libertà della scuola, difendendo in modo agguerrito l’introduzione dell’esame di Stato proprio per mettere sullo stesso piano gli studenti delle scuole statati e quelli delle scuole private, a conclusione del percorso di studi.
Come ricorda Mario Alicata nel suo “La riforma della scuola”: “In verità, la riforma Gentile coincide con una nuova fase dei rapporti tra le vecchie classi dirigenti italiane e la Chiesa (…) E accanto alla riapparizione dell’insegnamento religioso nelle scuole italiane, si inizia lo sviluppo impetuoso delle scuole confessionali”[1].
La classe dirigente, dunque, pensò di risolvere la crisi della scuola abbassando il numero delle scuole statali, nelle quali si sarebbe dovuto formare quel piccolo gruppo di intellettuali, che avrebbe dovuto tenere alto il prestigio nazionale e lasciando via libera alla scuola privata.
L’intento dell’idealismo, allora, era evidentemente solo quello di rinvigorire moralmente e intellettualmente la classe dirigente e di lasciare nello spirito di sottomissione il popolo. Queste idee furono anche di Benedetto Croce contro il quale, Antonio Gramsci, condusse un aspra e attenta polemica perché vi aveva colto l’enorme influenza esercitata dall’opera e dal pensiero del filosofo napoletano tra gli intellettuali.
Anche per Gramsci, Croce rappresentava oltre che la voce più autorevole, anche la figura di intellettuale politicamente e culturalmente più pericolosa.
Proprio per questo Gramsci cercò di controbattere in maniera puntigliosa le tesi del Croce, perché intendeva impegnarsi là dove la lotta era più attuale e dove la posta era maggiore. In questi termini, possiamo pensare che Gramsci fosse molto condizionato dal Croce proprio come lo sono due forze contrarie che nella disputa, reciprocamente sono legate.
E il legame, a parte una iniziale, possibile, simpatia, non si esprime mai come dipendenza spirituale, ma come tensione, come lite e contesa. Nella opposizione a Croce, Gramsci è sereno e obiettivo e non si lascia mai andare a una condanna indiscriminata della filosofia crociana, ma cerca di metterne a nudo i limiti e soprattutto la portata pratica, politica e reazionaria, senza tuttavia trascurare i momenti felici del crocianesimo.
Mentre addita Croce come, “La più potente macchina per conformare le forze nuove”[2], al gruppo dominante, riconosce che, “La religione della libertà – crociana – è una conquista civile che non deve essere perduta”[3].
È evidente che a Gramsci non sfugge la relazione tra il fascismo e Croce il quale considera il “movimento” in termini positivi, almeno in un primo tempo, quale strumento per restaurare l’ordine e un rigido regime liberale. Come scriverà, “Il fascismo ha risposto a seri bisogni e ha fatto molto buono, come ogni animo equo riconosce”[4].
Croce fu un entusiastico sostenitore della politica come forza, della guerra come religiosa ecatombe che fa progredire i popoli ed ebbe un ruolo importante, tra il 1919 e il 1924, nel formare, nella vita intellettuale italiana, le premesse ideologiche dell’azione e della vittoria fascista.
Giustificò gli atti di teppismo e fu solidale con Mussolini anche dopo il delitto Matteotti, a seguito dell’autodenuncia del Duce in Parlamento.
Il filosofo vide nel fascismo lo strumento più efficace per il trionfo dell’ideale dialettico che supera i principi democratici, considerati frutto di riflessione primitiva e infantile, e si afferma come prepotenza della classe dirigente, dello Stato, considerato, in termini hegeliani, come eticità, come incarnazione dell’idea.
Al tempo stesso, il fascismo si rivelò tollerante nei confronti di Croce, la cui attività evidenzia un’intesa che pur non esprimendosi in forma idilliaca si rivelò sempre, quantomeno, collaborativa.
Mentre addita Croce come, “La più potente macchina per conformare le forze nuove”[2], al gruppo dominante, riconosce che, “La religione della libertà – crociana – è una conquista civile che non deve essere perduta”[3].
È evidente che a Gramsci non sfugge la relazione tra il fascismo e Croce il quale considera il “movimento” in termini positivi, almeno in un primo tempo, quale strumento per restaurare l’ordine e un rigido regime liberale. Come scriverà, “Il fascismo ha risposto a seri bisogni e ha fatto molto buono, come ogni animo equo riconosce”[4].
Croce fu un entusiastico sostenitore della politica come forza, della guerra come religiosa ecatombe che fa progredire i popoli ed ebbe un ruolo importante, tra il 1919 e il 1924, nel formare, nella vita intellettuale italiana, le premesse ideologiche dell’azione e della vittoria fascista.
Giustificò gli atti di teppismo e fu solidale con Mussolini anche dopo il delitto Matteotti, a seguito dell’autodenuncia del Duce in Parlamento.
Il filosofo vide nel fascismo lo strumento più efficace per il trionfo dell’ideale dialettico che supera i principi democratici, considerati frutto di riflessione primitiva e infantile, e si afferma come prepotenza della classe dirigente, dello Stato, considerato, in termini hegeliani, come eticità, come incarnazione dell’idea.
Al tempo stesso, il fascismo si rivelò tollerante nei confronti di Croce, la cui attività evidenzia un’intesa che pur non esprimendosi in forma idilliaca si rivelò sempre, quantomeno, collaborativa.
Fatte queste premesse, lo sforzo di Gramsci sarà quello di individuare non solo i limiti della filosofia crociana, ma anche di preparare una nuova direttrice di lotta culturale, contro l’isolamento dell’intellettuale che non vuole sporcarsi le mani nella realtà quotidiana, al contrario di Croce che, invece, teorizzava la distinzione tra pensiero teorico e azione pratica.
In opposizione a questo, Gramsci propone la formula dell’intellettuale quale specialista e politico, legato organicamente alla classe operaia nella lotta per la sua egemonia ed è proprio su questo concetto che la critica gramsciana nei confronti di Croce che, evidenzia la volontà di combattere ogni forma di cultura militante, rivela l’indulgenza del regime verso il filosofo napoletano.
A partire dal 1925, Benedetto Croce, mutò il proprio atteggiamento nei confronti del regime restando, da quel momento, l’unica voce autorevole di opposizione anche se, lo stesso, considerò il fascismo sempre come un male passeggero, quasi accidentale e che alla caduta della dittatura corrispose la caduta dell’egemonia crociana.
Infine, dobbiamo rilevare che anche la riforma operata da Giovanni Gentile, non è estranea all’influenza di Croce che ritrova in essa i suoi principi antidemocratici contro la scuola unica, contro la scuola di Stato, da riservare a pochi e contro lo spirito scientifico escluso dai programmi.
[1] M. Alicata. La riforma della scuola. Editori Riuniti, 1956, pagg. 23-24
[2] A. Gramsci, Lettere dal carcere, Einaudi, 1965, pag. 192
[3] A. Gramsci, Lettere dal carcere, Einaudi, 1965, pag. 132
[4] B. Croce, Pagine sparse, Laterza, 1943, pag. 377