Unione Popolare è una formazione che ha deciso di concorrere da sola alle elezioni del 25 settembre prossimo. Nata nel luglio 2022, è composta da diverse sigle politiche e della società civile tra le quali, DeMa, Manifesta, Potere al Popolo e Rifondazione Comunista. È guidata da Luigi de Magistris ed è aperto alla partecipazione di tutte le cittadine e i cittadini che ne condividono gli obiettivi. Di sicuro, nel panorama politico italiano, si distingue per un’idea del tutto diversa e rivoluzionaria di governo e gestione della cosa pubblica. Abbiamo sentito, in merito, Rino Malinconico, scrittore, saggista, dirigente di Rifondazione Comunista e attivista.
Perché in Italia è necessaria una formazione politica come Unione Popolare?
Chi ha avuto la pazienza di leggere i programmi elettorali delle varie liste, ha dovuto ammettere che UNIONE POPOLARE si presenta col programma che più organicamente cerca di rispondere alle necessità di questa fase storica. Chiunque viva del proprio lavoro o della propria attività produttiva – e chiunque aspiri finalmente a un lavoro o a una precisa attività artigianale, commerciale o professionale – potrebbe essere certo in disaccordo con questa o quella nostra proposta; ma se non è un capitalista, se non è uno che vive di rendite e dividendi, non guarderebbe certo con preoccupazione, o con orrore, alla nostra idea di tassare del 90% i superprofitti delle fabbriche di armi, delle aziende energetiche e delle industrie farmaceutiche, o al nostro proposito di incrementare il prelievo fiscale sui grandi patrimoni…
Più in generale, ritengo che la stragrande maggioranza della popolazione, se avesse l’opportunità e la pazienza di comparare i programmi elettorali e le concrete biografie dei candidati, concorderebbe facilmente col nostro disegno di risanamento ambientale e di argine allo sconvolgimento climatico in cui siamo precipitati da alcuni decenni; e giudicherebbe ugualmente realistiche le nostre proposte di contrasto alle diseguaglianze e alle povertà e di rafforzamento dei diritti del lavoro, a partire dal salario orario minimo di 10 euro e dalla riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario.
Ritengo anche che ogni “persona normale” (che non sia cioè un profittatore) concorderebbe appieno con la nostra insistenza sul carattere doverosamente pubblico dei beni comuni, a partire dall’istruzione, dalla sanità e dalla previdenza; e vedrebbe con favore una politica di sviluppo sostenibile del trasporto, della viabilità, dei sistemi di energia e di telecomunicazioni. Penso, inoltre, che sia molto più ampio di quanto si creda la sensibilità popolare in materia di diritti civili e di contrasto alle culture e alle sopravvivenze razziste, sessiste e patriarcali.
Sono insomma molte le ragioni per l’esistenza e lo sviluppo del progetto di Unione Popolare. Noi ci proponiamo, in poche parole, come punto di riferimento per tutti coloro che hanno come valori morali, e non solo politici, i diritti di ciascuna persona, la difesa della dignità e delle condizioni del lavoro, e soprattutto la solidarietà e la vera e propria convivialità pacifica tra tutti gli esseri umani.
Il pacifismo è per Unione popolare un caposaldo al quale non si può rinunciare. Ma qual è la ricetta per cercare un soluzione al conflitto russo-ucraino?
Siamo ormai in una livida e tragica spirale di guerra mondiale. Non so se c’è ancora spazio per fermare la catastrofe che giorno dopo giorno si sta costruendo sotto i nostri occhi. Ieri Putin ha annunciato i referendum nelle zone occupate dell’Ucraina, referendum che si concluderanno – è facile capirlo – con la proclamazione di annessione. Si avvia, così, un nuovo stadio della guerra, perché se la Russia considererà le regioni occupate come parte della propria realtà nazionale, è evidente che riterrà la continuazione dei tentativi ucraini di riconquistarle come un’aggressione diretta alla Russia stessa. La guerra, insomma, sta precipitando in un vero e proprio baratro mortale per l’intero genere umano. Anche perché da più parti – dalla Russia come dall’Inghilterra e dagli Stati Uniti – si moltiplicano le voci che parlano apertamente della possibilità di ricorrere all’arma nucleare.
Finora c’è stata una sorta di finzione diplomatica. E cioè si è detto ufficialmente che la guerra fosse tra Russia e Ucraina, con la Russia che era passata dal sostegno più o meno mascherato ai separatisti del Donbass all’invasione vera e propria dell’Ucraina; e con l’insieme dei paesi occidentali che, per reazione, incoraggiavano l’Ucraina non solo a difendersi, ma anche a spingersi alla riconquista del Donbass. Da questa finzione si tende ora a passare, in maniera aperta, alla guerra dichiarata tra Russia e Nato. E le prossime settimane potrebbero essere davvero senza ritorno.
Io ritengo che un paese come l’Italia dovrebbe chiedere subito con forza due cose: 1) l’immediato “cessate il fuoco” di entrambi gli eserciti per favorire una concreta interposizione dell’ONU lungo l’attuale linea dei combattimenti; 2) il passaggio immediato di tutte le installazioni nucleari, a cominciare dalla megacentrale di Zaporizia, sotto il controllo dei caschi blu dell’ONU. Ma per dire queste cose con un minimo di autorevolezza, è ovvio che il nostro governo dovrebbe anche contestualmente sospendere l’invio delle armi all’Ucraina.
In ogni caso, il “cessate il fuoco” è la condizione necessaria. Essa può arrivare se la diplomazia prende il posto degli schieramenti militari e se l’ONU riuscirà ad avere un ruolo attivo. D’altronde, solo con una situazione di blocco delle operazioni militari potrà venire tutto il resto: e cioè i negoziati tra le parti, con la prospettiva, forse praticabile, di una Ucraina indipendente e fuori da ogni alleanza militare; e con la progressiva trasformazione dei territori attualmente occupati in zone libere sotto l’alto patrocinio dell’ONU, chiamato ad accompagnare la costruzione di istituzioni (quali che siano) definite dalle popolazioni stesse.
Ormai è evidente che il sistema scolastico italiano è in forte sofferenza. Come si risolvono i problemi del precariato, del salario per docenti e personale scolastico e le questioni legate alla qualità dell’istruzione in un Paese, di sicuro, non in linea con quella che è l’offerta proveniente dagli altri Stati dell’Unione Europea?
L’istruzione e la sanità, ma io direi anche i trasporti e le reti energetiche e di comunicazione, nonché gli assetti ambientali, debbono essere sottratti in partenza alla logica mercantile. Le scuole, le università, i presidi sanitari, le ferrovie, i sistemi viari e di comunicazione, come pure le reti dell’energia e gli equilibri idrogeologici, non sono cose da quotare in borsa, non sono cose su cui fare profitti e compravendite. Sono “beni indisponibili”, hanno intrinseco carattere pubblico e debbono appartenere per definizione a ciascuna persona. Questo come prima cosa.
In secondo luogo, i beni comuni vanno non solo tutelati ma rafforzati, incrementando le relative voci del bilancio pubblico e potenziando la dotazione del personale e la sua costante formazione. E voglio aggiungere che, in questo quadro, tutte quelle strutture debbono avere una inequivoca fisionomia nazionale. Non ci possono essere una scuola regionale o una sanità regionale. I ventilati progetti di autonomia regionale differenziata sono da respingere con fermezza.
Occorrono, in breve, scuole pubbliche che, recuperando in modo creativo la ricca tradizione formativa (e non semplicemente istruttiva) della scuola italiana, si costruiscano come concrete “comunità educanti”, tese a formare coscienze critiche e autonome; e che operino con uguale logica democratica e partecipativa, e con uguali risorse, da Aosta ad Agrigento. E la stessa cosa vale per la sanità pubblica: che va incoraggiata a privilegiare la medicina di prevenzione, a dare le stesse cure e a operare con identica sollecitudine in tutti gli angoli del nostro Paese.
Infine, qual è la posizione di Unione Popolare rispetto all’Europa?
Per quanto io creda che sia un bene andare verso una maggiore integrazione, l’Europa non può essere quella che impone il pareggio di bilancio in Costituzione. L’integrazione può avvenire solo con le logiche della reale solidarietà, non certo con le logiche del mercato. E soprattutto può essere fatta solo coinvolgendo direttamente i popoli, e quindi dando al Parlamento Europeo un bel po’ dei poteri che attualmente sono nelle mani della Commissione europea e del Consiglio d’Europa.
Ma un’Europa del genere, solidale e rispettosa della partecipazione popolare, dovrebbe necessariamente pronunciarsi anche per il superamento di tutte le alleanze militari, per la denuclearizzazione degli arsenali e per una riforma profonda delle relazioni di scambio con le altre parti del globo. In altre parole, dovrebbe mettere in discussione le molte sopravvivenze di “suprematismo tardo coloniale” che ancora ci caratterizzano.