Sul numero 3 (settembre – ottobre) 2005, della storica e prestigiosa rivista, Scena Illustrata, furono pubblicati una serie di articoli e interviste di assoluto valore sociale e culturale, il cui tema gravitava attorno alle problematiche e al dibattito, di allora, relativo alla dicotomia spirituale-temporale. Nello specifico si faceva riferimento al dibattito referendario di quel periodo nel quale, a detta di molti, la Chiesa era entrata un po’ a gamba tesa e il cui artefice fu individuato nel neo eletto Papa, Benedetto XVI, Joseph Ratzinger. Oggi a poche ore dalla sua scomparsa vogliamo riprendere questo articolo dell’allora nostro collaboratore, Andrea Betti, che ripercorre la lunga e gloriosa historia dei papi tedeschi, che si sono collocati sempre in periodi difficili e di cosiddetta transizione. L’ultimo Papa di origine germanica prima di Joseph Ratzinger, fu Stefano IX eletto ben 947 anni prima.
È possibile che la storia sia un vero ritorno? O più semplicemente, un continuo e noioso susseguirsi di problematiche sempre uguali? In quest’ultimi giorni abbiamo letto, in più d’un articolo a sfondo politico, che stiamo attraversando l’ennesimo momento oscuro della storia del nostro Paese e di solito le conclusioni sono che quando si brancola nel buio è tempo di riforme che portino almeno un barlume d’ordine. Per il Bel Paese, così come per la totalità del resto del mondo, e non solo politicamente parlando, ma anche dal punto di vista militare, economico, sociale… religioso. E considerando che nelle pagine precedenti si è già parlato di questioni religiose tanto vale andare avanti per questa strada dando un’occhiata al passato.
Riformare dunque. O meglio: Riforma.
Solitamente quando si parla di riforma, e conseguentemente di Controriforma, ci si riferisce alle mosse di Lutero e alle contromosse della Chiesa di Roma; ma in verità, la prima e nodale riforma nella storia del papato e del cattolicesimo fu iniziata tra la fine del X e tutto l’arco del XI secolo, con la lotta alla simonia e al nicolaismo o clerogamia (matrimoni e concubinato nel clero); da qui si evolsero il tentativo di rinnovamento della vita monastica, la scissione tra potere temporale e spirituale, l’esigenza di eliminare l’ingerenza dei laici nelle questioni ecclesiastiche, la necessità di imporre il celibato all’intero clero, e di stabilire nuove procedure per l’elezione del Papa, arrivando addirittura fino allo scisma con la Chiesa d’Oriente; vale a dire, praticamente tutto ciò che ha caratterizzato la storia della Chiesa in generale, e della “Sede papale” più in particolare, che tuttavia poterono accedere al Soglio pontificio grazie all’intervento dell’imperatore. Il primo Papa tedesco della storia, però, fu Gregorio V, eletto nel 996 a soli ventiquattro anni d’età. Proprio per far capire quali fossero i rapporti tra potere temporale e spirituale a quei tempi, e quali fossero le interferenze del laicato nell’ecclesiastico, è sufficiente dire che Gregorio, nato Bruno, figlio del duca di Corinzia, era nipote di Ottone I il Grande, incoronato imperatore il 21 maggio 996, fu fondamentalmente il rappresentante imperiale a Roma. Lo stesso anno, tennero insieme un sinodo in cui, tale Arnulfo fu reinsediato come arcivescovo di Reims, a discapito di tal Giberto (futuro Papa Silvestro II), condannato come intruso; e sempre in questa sede, convinsero Roberto II di Francia a rinunciare al diritto di nominare vescovi (diritto ritenuto ovvio a ogni reggente), dietro minaccia di scomunica sull’intero regno. Fino al Concilio di Pavia del 997, Gregorio ebbe come rivale l’antiPapa Giovanni XVI, eletto dalla nobiltà romana, e questa rivalità sfociò in un conflitto tra le truppe imperiali e le milizie romane capeggiate da Crescenzio II, detto il Nomentano, che alla fine portò alla cattura dell’antiPapa, pubblicamente umiliato davanti a Papa e imperatore, e all’assedio di Castel Sant’Angelo terminatosi nel 998 con la morte di Crescenzio e del suo sogno di ripristinare la Repubblica di Roma. Il 18 febbraio 999, Gregorio morì improvvisamente con non pochi sospetti sulla sua fine. Questa era dunque la sintesi della situazione delineatesi nei due secoli precedenti, in cui un siffatto stato di cose non poteva che favorire una grave corruzione; e poiché l’ufficio episcopale poteva rendere un uomo immensamente ricco, e con lui tutti coloro che gli gravitavano intorno, vi erano molti pronti a pagare per ottenere i privilegi che le cariche ecclesiastiche potevano garantire. Fu in questa delicatissima situazione che nel 1046 irruppe un re germanico poco più che ventenne, abile guerriero nonché uomo profon- damente religioso: Enrico III. Egli nominò una serie di papi che si fecero carico del rinnovamento, e i nomi stessi da loro scelti sottolinearono il distacco da “secolo oscuro” che li aveva preceduti e la cesura dei loro predecessori; contro i Giovanni, i Gregorio e i Benedetto che avevano rappresentato l’umiliante subordinazione al potere dell’aristocrazia romana o alla casa regnante germanica, contrapposero i nomi dei grandi papi della Chiesa antica come rappresentazione della loro aspirazione al ripristino della purezza. Vi furono dunque Clemente II (1046-1047), Damaso II (1048), Leone IX (1049-1054) e Vittore II (1055-1057).
I papi di Enrico III
Clemente II, ex cancelliere dell’imperatore Enrico III, fu il primo dei quattro pontefici tedeschi, appartenenti alla schiera di Enrico. Eletto Papa il 25 dicembre del 1046, dopo l’abdicazione del Papa Gregorio VI decisa dal Concilio di Sutri, indetto dall’imperatore nel dicembre di quello stesso anno, nei quasi dieci mesi di mandato, Clemente fece a tempo a convocare un Concilio in cui vennero promulgati alcuni decreti contro la simonia. Trattasi questa non di una malattia, bensì dell’usanza di pagare o ricevere denaro, o favori, in cambio di un ufficio e promozione spirituale; il nome deriva da Simon Mago, che come si legge negli Atti degli Apostoli (Atti 8,9-25), chiese agli apostoli di ricevere il dono di conferire lo Spirito Santo con l’imposizione delle mani in cambio di denaro. A Simon Mago non andò molto bene, tant’è che Pietro gli intimò di pentirsi per “il fiele amaro e i lacci d’iniquità” di cui era prigioniero; e dire che il noto Mago agì in siffatta maniera solo per l’ignoranza… A quanto pare nel corso dei secoli, grazie a strane trasmutazioni, il fiele si era convertito in miele e i perfidi lacci in oneste libertà, e ciò che fu dettato dall’inconsapevolezza divenne abitudine. Certo è che i limiti che demarcavano questo peccato ai nostri occhi possono apparire alquanto ambigui, dato che molte volte la simonia non risulta facilmente distinguibile dalla ragionevole imposizione di tasse, sia da parte delle autorità civili sia da quelle ecclesiastiche. Papa Clemente II si spense il 9 ottobre 1047.
Vi fu poi Damaso II, vescovo di Bressanone che, eletto il 17 luglio del 1048, morì il 9 agosto dello stesso anno; praticamente ventiquattro giorni che servirono sempre a iscriverlo nell’albo d’oro. A Damaso seguì Leone IX, sicuramente uno tra i più impor tanti del quartetto legato a Enrico III. Nato nell’Alta Alsazia nel 1002, a ventiquattro anni era già vescovo; negli anni a seguire si rese noto per i servigi resi all’imperatore Corrado II e successivamente a Enrico III, nonché per l’impegno profuso nel diffondere la regola dell’ordine cluniacense. Cluny, che pur intratteneva ottimi rapporti con re e imperatori, si staccava dall’ottica del monachesimo assoggettato al patronato regale, guardando con una nuova ottica al futuro del papato e alla riforma religiosa stessa: per molti monasteri libertà religiosa significava libertà sotto il re o sotto il signore; per Cluny significava libertà dal re. Nel 1048, quando a Worms sia l’imperatore, sia i delegati di Roma lo scelsero come successore di Damaso, Leone accettò a condizione che il popolo e il clero romano acclamassero il suo nome legittimandogli la carica. Abile mossa: farsi amare dal popolo che avrebbe dovuto guidare non solo spiritualmente, e delegittimare implicitamente l’intervento imperiale. Un primo passo per sottolineare la netta scissione che avrebbe dovuto esserci tra potere regale e potere Papale, tra mondo laico e mondo ecclesiastico; durante il Sinodo di Pasqua dell’anno successivo attaccò ufficialmente ogni forma di simonia e riaffermò l’obbligo del celibato del clero, avversando i matrimoni e il concubinato che furono pratica usuale sino al definitivo intervento di Papa Gregorio VII nel 1074. Al di là della sua lotta convinta, e per molti aspetti sincera, contro le ingerenze temporali nella vita ecclesiastica, Leone IX è anche legato allo scisma tra la Chiesa di Roma e la Chiesa d’Oriente. E anche la lotta tra Leone e il patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario mossa dalla disputa dottrinale basata sullo scontro tra dogmi (ex Patre procedit opposto a ex Patre Filioque procedit, dove il primo, accettato nel 325 al Con- cilio di Nicea, asserisce che lo Spirito Santo promana dal Padre attraverso il Figlio, mentre il secondo del 589 del Concilio di Toledo stabilisce che lo Spirito Santo promana dal Padre e dal Figlio), ai campi di battaglia dei possedimenti ravennati di Bisanzio passati nelle mani del papato, sino alle scomuniche incrociate che divisero definitivamente le due Chiese. Dimostrazione questa che, per quanto infallibili possano essere certi uomini, i metodi invece talvolta possono essere difettosi. L’ultimo Papa della schiera di Enrico III fu Vittore II, suo parente e consigliere; eletto dall’imperatore stesso a Magonza nel 1054, dietro istanza di Ildebrando di Soana (il futuro Papa Gregorio VII), fu uomo energico e politicamente potente. Proprio grazie a questa sua vocazione s’impegnò a rafforzare le condanne dei suoi predecessori, fu uno zelante difensore dei diritti della Chiesa e dell’intera riforma, mantenne la pace in tutto l’impero e ridimensionò le intromissioni dei baroni nella vita ecclesiastica. Di preciso si sa che morì nel 1057. Invece, su dove sia seppellito, c’è chi dice a Firenze nella chiesa di Santa Reparata e chi a Ravenna (ah, le fonti!).
Fuori dal giro
Ai quattro sunnominati seguì l’ultimo Papa tedesco insediatosi prima dei giorni nostri: Stefano IX (o X, a seconda che si consideri che Stefano II fu l’ultimo Papa di fatto: dato che morì tre giorni dopo la sua elezione, tempo forse non bastante per confermare la nomina, il successore che ne riprese il nome quantificando come “terzo” in realtà, probabilmente, è da considerarsi il secondo). Di certo Stefano non fu imperialista; fratello di Goffredo di Lorena, acerrimo rivale di Enrico nell’Italia settentrionale, quando nel 1055 l’imperatore giunse a Roma, l’allora semplicemente Federico di Lorena, per evitare problemi si rifugiò a Monte Cassino, dove nel 1057 fu fatto abate da Vittore II. Poco prima, in quello stesso anno Enrico III era morto, e poco dopo successe a Vittore diventando Stefano. Per tutto il suo pontificato, durato otto mesi, si impegnò per portare avanti la riforma, sia consolidando la presenza del capi riformatori nell’apparato Papale, sia riformando il monastero di San Benedetto a Cassino. Tentò di scacciare i Normanni dall’Italia meridionale e di insidiare suo fratello sul trono imperiale, ma soprattutto strinse un’alleanza con i patarini milanesi, movimento riformatore che auspicava un clero casto e povero dallo stile di vita prettamente apostolico come descritto negli Atti degli Apostoli. Purtroppo fu colpito da una grave malattia che di li a breve gli fece rendere grazie al Signore nel 1058. In conclusione, riducendo tutto ai minimi termini, la situazione ai tempi era così combinata: dei venticinque papi tra il 955 e il 1057, tredici erano stati nominati dall’aristocrazia locale e dodici dagli imperatori germanici. La sicurezza Papale era subordinata al potere temporale e le contraddizioni dottrinali non solo laceravano gli animi dei fedeli, ma svuotavano anche le tasche di signori e chiese. Un periodo oscuro che necessitò di quella riforma che lentamente pose le basi per distinguere in modo netto l’attività temporale; un’era buia, in cui germinarono le premesse che portarono anche allo sbocciare del rivoluzionario, umile e, allo stesso tempo, splendido movimento francescano, e dove si cristallizzarono le idee in difesa di principi e dogmi che portarono a quelle che furono tra le più violente forme di repressione. Insomma, un periodo ricorrente come tanti altri, in cui guerre locali o nazionali, scontri politici, problemi economici e smarrimento generalizzato facevano da padroni costringendo i potenti dell’epoca a fronteggiare le questioni con mezzi di ogni genere.
Oggi il quadro globale ha assunto nuove sfumature d’oscurità rispetto ad allora; e per quanto Benedetto XVI crediamo non debba far fronte a problemi di simonia o clero- gamia, proprio oggi molti degli strappi che si formarono allora esigono d’essere rattoppati, per poi poter risanare quelle crepe che si stanno formando con i cambiamenti sociali in corso e le esigenze che compor tano e comporteranno. Il rischio che le incrinature divengano voragini insormontabili, considerando la velocità dei mutamenti attuali, aumenta esponenzialmente col passare del tempo, e la necessità di riforme coerenti ai nostri tempi si sta facendo sempre più imminente. Che sia dunque il destino dei papi tedeschi collocarsi nei periodi di transizione e maggiore sforzo, per mettere ordine e promuovere i rinnovamenti? Chissà… Speriamo che non se ne riparli solamente tra 947 anni.
DI seguito il link al discorso (molto discusso) che Papa Benedetto XVI tenne il 12 settembre 2006 all’Università di Regensburg.