Non sembri fuori luogo, anzi fuori tempo questo mio sguardo retrogrado verso l’ultimo (?) nemico dell’umanità, il Covid. E mi sospinge un interessante libretto poetico scritto, per così dire, dall’interno del dramma, allorché la fragilità dell’essere umano aveva il dente scoperto, molto scoperto. Si tratta di Malatempora, una silloge di Salvatore Rondello, poeta non nuovo alla versificazione riflettuta, pensata, se non proprio audace. Perché infatti il poemetto è condotto per acrostici, una forma retorica della poesia molto laboriosa e anche pericolosa per facilità di scivoloni meramente cervellotici. La qualcosa non si addice alla leggerezza combinatoria dell’acrostico di Malatempora che scorre spedito e non si lascia affaticare dalla complessità dolorante della situazione di cui tratta. È il tempo dell’incertezza, dell’inquietudine, del dramma delle numerose inarrestabili morti, una specie di apocalisse punitiva, ma anche immeritata, crudele, perfida, decisamente esagerata, a cui il poeta reagisce con una narrazione serrata, stretta dentro il rigore dell’acrostico, che gli offre lo strumento per rispondere a tono e, pur nella paura, non lasciare spazio al sentimentalismo e al languore. Qui il gioco poeta-poesia è biunivoco perché non è dato sapere (ma alla fine che importa?) se è lo strumento linguistico che tiene il bandolo al poeta, o se è il poeta che presta il fianco alla performatività dell’espressione. Si direbbe un itinerario simbiotico di effetto e di chiarezza che emoziona il cervello e lo smuove e lo interroga. Ed è un itinerario a climax ascendente, se è vero ciò che sostiene la triade dell’exergo appoggiata a Cicerone, Virgilio e Turi Sottile che, partendo da una condizione disforica (Malatempora currunt, sed peiora parantur) e, passando attraverso la funzione salvifica dell’amore (Amor vicit omnia, et nos cedamus amori) approda all’euforia del riso (Sorridere è necessario, ma ridere è indispensabile) dove forse, il ridere, così distante dal sorriso estatico degli dei, da quello dell’Apollo di Veio, è l’unica difesa che l’uomo moderno riesce a opporre alla banalità del male. Non a caso il primo testo della raccolta titola Andrà tutto bene, l’uomo in casi disperati innanzitutto si attacca all’ultima sponda (spes ultima dea). C’è in questa prima proposta tutto il territorio su cui la fatica poetica combatte la sua battaglia: ignoranza, resilienza, destino, timore, untori, sospetti, nemici. Il nostro prossimo nella tradizionale dimensione amicale non esiste più, i nostri vicini sono untori, nemici, tenuti a distanza, sospettati. Eppure, animiamo la speranza. …………….Temiamo i nostri simili, / Tenuti distanti, / Terribili sospetti,/ Oscurano il volto……….. Da Andrà tutto bene, pag. 13, vv. 6-10
A partire da premessa illuminante si snodano tutte le peculiarità della condizione e della situazione: il pericolo degli asintomatici contagiosi, all’analisi del nemico (Coronavirus), i casi positivi, la clausura in casa, le crisi di paura, e via via leggendo, scopriamo un coraggio, quasi involontario, ma reale e consapevole.
Cammino nel dolore / Oltraggioso della vita / Reagendo impulsivamente / Armato di buone intenzioni / Germoglia l’animo / Generoso nel cuore, / Improvvisando atti / Operosi di umanità. (pag. 16)