Parlare di Giorgio Gaber in un giorno qualsiasi di agosto, potrebbe sembrare fuori luogo. Non lo è se può essere utile un’analisi dell’uomo Gaber, dell’artista, del letterato. Scorrendo i tanti video che ci ha lasciato, in particolare quelli degli archivi della Rai, quando la nostra televisione di stato, seppur intrisa di censure e gabbie, agli artisti veri lasciava libertà di esprimersi secondo le proprie inclinazioni. Stiamo parlando di una televisione di oltre cinquanta anni fa che rispetto a quella di oggi, non è neppure paragonabile, sarebbe un disonore per la Rai di allora che, come dicevamo, seppur censurata da una politica ancora con pudore, aveva tra i suoi dirigenti, quelli che creavano i palinsesti e così via, personaggi di assoluto spessore culturale e sociale come Veltroni (padre), Zavoli, Pedullà, Siciliano, Pasolini e tanti altri. Dell’oggi, è opportuno non esprimersi.

Ma tornando a noi, Giorgio Gaber era tra quelli che la televisione di stato hanno contribuito a farla diventare grande in termini nazionali e internazionali. Con la sua sottile ironia, con la sua sagace e cordiale irriverenza, mai oltre le righe. Con le sue canzoni e suoi pezzi di teatro surreale e d’avanguardia eccelso chitarrista è stato il precursore di quello che oggi chiamiamo il teatro Canzone. Il signor G, da Milano, si attesta subito tra giovani emergenti nel 1960 con il brano, Non arrossire e nello stesso anno la consacrazione con la Ballata del Cerutti.

Alla fine degli anni ’60, “l’invenzione” del Teatro Canzone e la presa di coscienza politica e umana del giovane Gaber. In un’intervista su Rockstar del 1993 disse: “[…] La fine degli anni Sessanta era un periodo straordinario, carico di tensione, di voglia, al di là degli avvenimenti politici e non, che conosciamo, e fare televisione era diventato dequalificante. Mi nauseava un po’ una certa formula, mi stavano strette le sue limitazioni di censura, di linguaggio, di espressività, e allora mi dissi, d’accordo, ho fatto questo lavoro e ho avuto successo, ma ora a questo successo vorrei porre delle condizioni. Mi sembrò che l’attività teatrale riacquistasse un senso alla luce del mio rifiuto di un certo narcisismo”.

In realtà la televisione continuò a farla interpretandola i termini opposti a quelli che lo stesso media stava diventando. Di certo iniziò un’allontanamento dalla Tv per avvicinarsi e cavalcare sempre più i palchi della scena teatrale. Insieme agli amici di sempre, Dario Fo, Enzo Jannacci, Adriano Celentano e tanti altri, faranno grande la cultura italiana per almeno 20 anni. Ancora troppo giovane, non aveva compiuto i 64 anni, e dopo aver pubblicato il suo ultimo lavoro musicale, “La mia generazione ha perso”, quasi un epitaffio, il Signor G muore il primo gennaio del 2003.
Uno dei suo monologhi più toccanti è possibile visionarlo al link di seguito.