Verona agosto 1542, un’invasione di locuste mette in ginocchio la città.
È il 25 agosto 1542. Un caldo giorno qualunque di agosto. Ma verso le ore 13 i cittadini di Verona scoprono piano piano che non è un giorno qualunque ma che anzi rimarrà per sempre nella loro memoria, nella memoria della città.
Il soffio e il sibilare
Percepiscono dapprima un soffio, un sibilare strano che ricorda il vento quando si infila veloce tra i vicoli stretti e ci gioca provocando mille rumori. Ma questo non è un vento gentile che porta frescura e sollievo. Gli animali si inquietano nelle case, si sentono i cani latrare sempre più forte.
Il sibilo acquista forza, diviene assordante, investe le case, i palazzi, corre nei vicoli, rotola sugli acciottolati.
Il timore dei veronesi
I veronesi intimoriti dapprima esitano ad affacciarsi ma poi prendono coraggio e dalle finestre prendono atto di un orrore che si materializza sotto i loro occhi.
Come un’onda di un oceano in tempesta, come un diluvio universale milioni di locuste precipitano dal cielo sulla città e la riempiono, l’affogano. Sono affamate, di un appetito che le rende insaziabili. La loro quantità è tale che, come un’eclissi di sole, oscurano Verona.
Le voraci locuste, battono rapide le loro ali trasparenti mentre divorano tutto ciò che, lungo il loro inarrestabile cammino, si presenta loro di gusto accettabile. Non c’è campo di grano, alberi da frutta, uliveti, vigne cariche di grappoli d’uva che resiste alle locuste, tutto distrutto…E il ronzio continua, l’odore degli insetti e la loro polvere riempie l’aria e la rende irrespirabile. Il ronzio non cessa, nulla sembra fermarlo.
Il giorno del giudizio
Gli sciami immensi procedono a ondate, ciò che la prima onda lascia la successiva spolpa e così via…I più pii, e non solo, si rifugiano nelle Chiese e pregano intensamente. Alcuni pensano che sia arrivato “Il giorno del Signore” così come immaginato da Gioele nel Libro dei Profeti…
Arriverà un tempo terribile nel quale Dio manifesterà il suo dominio sulla storia e giudicherà, in maniera tanto severa quanto giusta, tutti i popoli. Lo scrittore Ludovico Antonio Muratori ben descrive la scena che si ripete anni dopo: “Erano alate, e più grandi delle solite a vedersi, perché lunghe un dito; volando adombravano il sole per lo spazio di uno o più miglia; e dovunque passavano, facevano un netto di tutte le erbe e ortaglie… Venuto poi il verno, perirono esse locuste, ma infettando l’aria con il loro fetore; e guai a chi non ebbe cura di seppellirle”.
La fine del male
Ogni male ha sempre un inizio ma anche una fine. E anche questo strazio si conclude. Le ondate di locuste d’improvviso perdono intensità e diminuiscono di numero.
Non c’è più cibo, le locuste voraci hanno divorato tutto. Ora muoiono di fame e per non morire si spostano altrove. A Verona torna la pace.
I veronesi non si fidano, temono sia solo una tregua in questa guerra. Poi piano piano escono dalle loro case dove si erano asserragliati. Quello che vedono è solo desolazione, distruzione. Gli alberi non hanno più foglie, i campi hanno un solo colore come dopo un incendio. Solo rovina si presenta ai loro occhi.
Ma Verona è una città forte, scusate ora si dice resiliente, e i suoi abitanti oltreché fieri anche decisi a rimettere tutto a posto il più rapidamente possibile. Con sacrifici di ogni genere iniziano a ricostruire. Raccolgono i cadaveri degli ortotteri maledetti e ne fanno cenere; arano profondamente i campi, seminano e ripiantano tutto e meglio di prima. Le strade si animano, i commerci tornano a fiorire.
Verona, la memoria e la condanna
A Verona la memoria di questo tragico evento sopravvive a dispetto del tempo trascorso.
Aiutano alcune iscrizioni, per la verità un poco nascoste alla vista, che ornano Palazzi Scaligeri, in una lapide dedicata a San Bernardino e poi una serie di dipinti più o meno pregiati che in allora fotografarono il triste momento.
Ma le locuste vi chiederete, dove son finite dopo avere devastato Verona e i suoi paraggi?
Giovanni Battista Modena, uno storico, ci dice che gli sciami famelici continuarono a vagare per l’Italia e per l’Europa diffondendo povertà e carestia come nella migliore punizione biblica. In particolare, per quel che ci riguarda, Giovanni Battista ci racconta un episodio alquanto curioso: “…1542 tornorono le locuste altri dicono cavallette in Vercelli et Piemonte, che quando da terra si alzavano oscuravano il sole. Vennero di levante et nel venire daneggiorno Brezza, Mantua, et altri lochi di Lombardia et Veneziano.
In Vercelli vi fu fatto un processo criminale contro citate et in contumacia datoli uno procuratore, et questo processo fu fatto dal vicario del Vescovo come che esse locuste fossero sacrileghe che rovinavano i beni della Chiesa et furno condannate ad anegarsi nel Po et Sesia et altri fiumi et così fu fatto et io ho veduto il processo rogato a Giulio de Quinto cancellier del vescovato. Dicono che solamente di miglio fu il danno di cento milla scudi”.
Naturalmente gli ortotteri in questione si fecero un baffo della sentenza e della severissima condanna in essa contenuta…
Poi, nel tempo, una mano misericordiosa ad evitar postume figure alla Santa Romana chiesa, fece furbescamente sparire tutti i documenti processuali.
Insomma in Italia una vera tradizione!