Aldo Moro venne rapito 45 anni fa, gli uomini della sua scorta uccisi senza pietà ed egli stesso fu assassinato dopo 55 giorni di prigionia. Eventi ormai lontani e consegnati alla storia anche se non completamente chiariti nella dinamica e soprattutto nei loro risvolti più oscuri, ancora oggi dopo il lavoro di due Commissioni parlamentari d’indagine. Ma non è di questo che vogliamo scrivere. Qui ricordiamo la figura politica, lo statista, che per 20 anni guidò la DC (Democrazia Cristiana), il partito che contraddistinse la cosiddetta “Prima Repubblica”, col proprio pensiero prima che con la gestione del potere (non sempre esercitato). Ovviamente sono molteplici e tutti di grande spessore politico le iniziative e le idee che Moro mise in campo tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. Libri importanti gli sono dedicati, come è giusto che sia. Segnaliamo per tutti l’ottimo, Aldo Moro, di Guido Formigoni, edito da il Mulino, perché copre in quattrocento pagine, l’intera vita del politico pugliese, dagli anni giovanili nella FUCI, all’attiva partecipazione ai lavori dell’Assemblea Costituente, dal suo essere giurista e docente universitario, all’azione politica dapprima come segretario della DC e dopo come Presidente del Consiglio, e infine alla complessa gestione della dinamica politica che condusse alla solidarietà nazionale e purtroppo anche alla fine prematura della sua esistenza.
Dunque, un’esperienza non certo riassumibile in un breve articolo. Si tratta allora di evidenziare alcuni caratteri distintivi, e fra essi quello che a me pare fra i più rilevanti, se non il più rilevante, è la sua capacità di costruire scenari politici per poi pazientemente realizzarli, orientati al futuro: in grado cioè, di offrire risposte politiche alle novità che le dinamiche sociali ed economiche prospettavano, chiedendo risposte adeguate esattamente alla politica. Un lavoro, dunque, d’avanguardia, l’esatto opposto del conservatorismo. Ma come è noto, ogni novità desta preoccupazione, talvolta sconcerto. L’abilità “morotea” consisteva nel riuscire a condurre lungo la strada individuata anche i più riottosi. Consapevole che solo con un’unità operativa effettiva – nel caso, quella del suo partito, il partito del governo – si sarebbero potuti raggiungere i risultati prefissati. Questo modo di procedere naturalmente richiedeva tempo e infatti i suoi critici ne denunciavano le movenze felpate e lente, che però erano il prezzo necessario da pagare per dare modo a tutti di comprendere e infine apprezzare e sostenere le proposte elaborate. Questa volontà di convincimento, inoltre, esigeva una articolazione del linguaggio capace di spiegare, motivare, illustrare i perché di una scelta e poi di prospettare i risultati cui quella scelta avrebbe condotto. Nasce da questa necessità quel suo parlare elaborato, quel suo discorrere profondo nel quale tutto – vocaboli, pause, virgole – era studiato, meditato, mai lasciato all’improvvisazione. E anche su questo aspetto del suo operato le critiche dei detrattori furono feroci: linguaggio involuto, oscuro, ingannevole. Era, certo, un linguaggio non facile, non immediato. Ma sempre onesto, perché conduceva l’ascoltatore/lettore al punto, spiegando ogni passaggio logico. Quindi affatto ingannevole: bisognava però avere la voglia, la disponibilità ad ascoltare, leggere, riflettere, pensare.
Oggi tutto è cambiato e sarebbe interessante vedere come reagirebbe Moro al linguaggio semplificato e spesso banale dei social. Col risultato che l’elaborazione intellettuale e politica si è immiserita gravemente. Con i suoi modi, col suo linguaggio, con i suoi tempi Moro fu l’uomo che maggiormente operò affinché la democrazia italiana – nata da una guerra civile e cresciuta in un tempo di grandi divisioni ideologiche – potesse consolidarsi ampliando la sua, per così dire, base sostenitrice. Quel compito che egli definiva “allargamento delle basi democratiche dello Stato”, consistente nell’integrare in esso, nelle sue istituzioni chi ne era ai margini. Leopoldo Elia, fine costituzionalista, lo descrisse come “il grande integratore”. Integratore di culture, valori, idee, uomini nell’alveo delle istituzioni dello Stato democratico. Dalla costituzione ai primi anni sessanta del centro-sinistra alla solidarietà nazionale di fine anni settanta, il filo rosso che unisce tutti i passaggi politici guidati da Aldo Moro è sempre il medesimo, senza mai deflettere e senza mai cedere sui valori fondanti la Repubblica nata dalla Resistenza. Questa sua lungimiranza nel disegnare assetti politici non immediatamente percepibili dai più ma invece essenziali per lo sviluppo democratico ma pure economico del Paese è la vera cifra dell’insegnamento moroteo. Un insegnamento che, sfrondato dall’inevitabile usura del tempo, rimane valido ancora oggi e che proprio per questo meriterebbe maggior conoscenza: quella di cui, purtroppo e non per loro colpa, le giovani generazioni difettano.