A trent’anni dalla sua istituzione, la Regione Sardegna si avvia a celebrare “Sa die de sa Sardinia,” dando la giusta rilevanza all’evento, dopo il fermo causato dall’emergenza pandemica. Sa die de sa Sardigna, ricorda la cacciata da Cagliari del viceré piemontese Balbiano e dei funzionari sabaudi, in seguito all’insurrezione popolare dei cosiddetti Vespri Sardi del 28 aprile 1794.
L’amministrazione piemontese della Sardegna iniziò intorno al 1718, quando il Duca di Savoia ricevette il Regno di Sardegna in cambio del Regno di Sicilia. I Piemontesi non avevano a cuore il popolo sardo, escludendolo da qualunque partecipazione alla vita politica e amministrativa, generando insofferenza tra la popolazione e diffondendo sentimenti di ribellione. Il motivo del malcontento popolare era dovuto anche al fatto che la Sardegna era stata coinvolta nella guerra della Francia rivoluzionaria contro gli stati europei e dunque contro il Piemonte. Nel 1793 una flotta francese aveva tentato di impadronirsi dell’isola, sbarcando a Carloforte e insistendo successivamente anche a Cagliari. I Sardi però opposero resistenza con ogni mezzo, in difesa della loro terra e dei Piemontesi che dominavano allora in Sardegna. Questa resistenza ai Francesi aveva entusiasmato gli animi, perciò ci si aspettava un riconoscimento e una ricompensa dal governo sabaudo per la fedeltà dimostrata alla Corona, cosa che non avvenne. La scintilla che fece esplodere la contestazione fu l’arresto ordinato dal viceré degli avvocati cagliaritani: Vincenzo Cabras ed Efisio Pintor. Siamo al 28 aprile del 1794: la popolazione inferocita decise di allontanare dalla città il viceré Balbiano e tutti i Piemontesi, che nel mese di maggio di quell’anno furono imbarcati con la forza e rispediti nella loro regione, vennero cacciati 514 fra ministri, ufficiali e impiegati piemontesi savoiardi e nizzardi; molti di loro si erano distinti per tracotanza e aperto disprezzo verso la comunità sarda, come viene sottolineato anche dall’inno nazionale sardo di Francesco Ignazio Mannu, Procurade ‘e moderare. Incoraggiati dalle vicende cagliaritane, gli abitanti di Alghero e Sassari fecero altrettanto. I piemontesi venivano bloccati, veniva loro formulata la richiesta: “Nara cixiri”, (trad. Pronuncia ceci”), chi non riusciva a pronunciare bene queste due parole non era certamente sardo e quindi veniva imbarcato e allontanato. La formula fonetica era comprovante l’appartenenza al popolo sardo. Insomma ancora una volta, a conferma di quanto scritto da qualche studioso della storia sarda, essa è stata caratterizzata da ciò che si definiva come “costante resistenziale sarda”, ossia la lotta millenaria condotta dagli isolani contro i sempre nuovi invasori.
Quindi i Fenici, i Cartaginesi, i Romani, i Vandali, i Bizantini, gli Aragonesi a seguire gli Spagnoli e poi, come dire dalla padella alla brace, i Savoiardi, tutto il resto è storia moderna e contemporanea. Sorge spontanea una domanda, ma i sardi hanno consapevolezza della loro storia? I politici che hanno governato la Sardegna, dal dopoguerra in poi, quale orizzonte di senso hanno dato alla Regione? Qual è nella sostanza il pregio di essere una regione autonoma a statuto speciale e aver più di 2.500.000 di emigrati nel mondo ed un unico vanto: quello di avere molti sardi organizzati in circoli, che molto probabilmente offrono il senso di appartenenza a una minoranza etnica e linguistica e senza comprenderne il vero senso gli stessi infondono negli iscritti un disagio di fondo: quello di essere un popolo in diaspora di “un’isola che non c’è”. Possiamo dire, dunque, che questa ricorrenza debba essere vissuta come momento storico focale, non per creare ancora del folklore, la Sardegna abbonda di ciò, ma per cominciare a ripensare la Sardegna in chiave moderna e portarla oltre il terzo millennio, restituendo ai Sardi ciò che è dei Sardi: la loro terra ed il loro futuro. L’invito è quello di riascoltare attentamente l’inno sardo scritto da Francesco Ignazio Mannu e coglierne l’intrinseco significato: Il testo è stato scritto nel 1794, il titolo è : “Procurade e moderare barone sa tirannia”. La prima parte recita così: “Procurade’ ‘e moderare, Barones, sa tirannia, Chi si no, pro vida mia, Torrades a pe’ in terra! Declarada est già sa gherra Contra de sa prepotenzia, E cominzat sa passienzia In su pobulu a mancare”, per poi seguire con altre 46 strofe, che ogni sardo dovrebbe conoscere a memoria e indignarsi ancora profondamente della propria condizione. Tanti Auguri al popolo Sardo e “Fortza Paris”.