La storia della cucina è connessa in modo imprescindibile a quella dei popoli e dei vari periodi storici, tanto che si può parlare proprio di vere ”Rivoluzioni alimentari”.
Una di queste rivoluzioni alimentari si realizza nel tardo Medioevo, periodo denso di avvenimenti infausti, quali pestilenze, guerre e una forte contrazione demografica rendono disponibili territori a vocazione agricola in ubertosi pascoli con un conseguente aumento dei consumi di carne.
Questo dato è sufficientemente comprovante di un allentarsi delle crisi epidemiche che hanno tormentato le genti fino a oltre la metà del Quindicesimo secolo.
Il tema dell’alimentazione come efficace trattamento nella prevenzione dei mali che attengono alla salute oggi più che mai si pone come mantra ufficiale della storia contemporanea.
È il XVIII secolo che offre alla parte del mondo più evoluta la contemporanea rivoluzione alimentare. La messa a coltura del mais, della patata e la conseguente disponibilità alimentare migliora il livello nutritivo nelle popolazioni europee, modificando il rapporto tra alimentazione e mortalità.
Ma anche quest’ultima affermazione nasconde contraddizioni che hanno a che fare con la tavola del ricco e la “mensa” del povero. La tavola del ricco era varia per carni, cacciagione, pesce, dolciumi, vino mentre, la mensa del povero, monotona e povera, con denominatore comune: il pane.
Comunque un’alimentazione monotona e irregolare che doveva fare i conti con le avversità atmosferiche, le conseguenti influenze sui raccolti e le derivanti penurie alimentari. In ogni caso, si può pensare che la mensa dei poveri fosse, dal punto di vista nutrizionale più sana perché meno ricca di proteine animali, di grassi insaturi e di zuccheri che abbondavano nelle tavole dei ricchi.
Un esempio per tutti: nella nobile famiglia Mazzarino, tra il 1600 e 1700, s’ingurgitavano circa 8000 calorie al giorno, un vero sproposito in rapporto al far nulla giornaliero.