Nel quarantatreesimo anniversario della strage alla stazione di Bologna il pensiero non può non essere rivolto alla figura di Andrea Purgatori, il collega scomparso alcuni giorni addietro e della cui morte si sta occupando la magistratura. Un pensiero strettamente legato a quel giornalismo che oggi in pochissimi praticano e di cui Andrea è stato un interprete eccellente: il giornalismo d’Inchiesta. Prima di descrivere questo 2 agosto e gli inevitabili e abituali scivoloni dei rappresentanti politici della maggioranza di governo vorrei rivolgere un pensiero a lui che ho avuto il piacere di conoscere alla fine degli anni ‘90 quando si presentò in camicia a giacca di velluto al master in giornalismo che frequentavo, quale docente della materia di giornalismo d’inchiesta, appunto. Si presentò con due chiari esempi di indagine, quella a lui più cara della strage di Ustica e quella della Stazione di Bologna del 2 agosto del 1980. Due momenti della nostra storia italica che fino a non molto tempo fa, hanno rappresentato dei misteri di difficile soluzione. Grazie a persone, giornalisti come Andrea Purgatori questi fattacci della storia patria hanno visto la luce offrendo almeno un minimo senso di giustizia a vittime e a familiari che per anni sono rimasti nel limbo dell’indifferenza e dell’incoscienza.

Fu proprio Purgatori con la sua insistenza professionale di ricerca della verità, a far ripartire le indagini sull’abbattimento del DC 9 Itavia sui cieli di Ustica il 27 giugno del 1980 e oggi, seppur ancora con grande fatica i fatti si stanno dipanando, svelando i responsabili di quella strage.
Per le vicende di Bologna del 2 agosto del 1980, invece, le cose sono già state svelate. Come ha ricordato nel suo messaggio in occasione dell’anniversario, il presidente della repubblica, Sergio Mattarella: “Le immagini della stazione di Bologna, la mattina del 2 agosto 1980, ci hanno restituito un’umanità devastata da una ferocia inimmaginabile, da un terrore che ambiva a pretendersi apocalittico. Il ricordo di quelle vittime è scolpito nella coscienza del nostro popolo. Una ferita insanabile nutre la memoria dell’assassinio commesso. Nel giorno dell’anniversario la Repubblica si stringe ai familiari e alla comunità cittadina con sentimenti di rinnovata solidarietà. Siamo con loro, con le vite innocenti che la barbarie del terrorismo ha voluto spezzare, con violenza cieca, per l’obiettivo eversivo e fallace di destabilizzare le istituzioni della democrazia. L’Italia ha saputo respingere gli eversori assassini, i loro complici, i cinici registi occulti che coltivavano il disegno di far crescere tensione e paura. E’ servita la mobilitazione dell’opinione pubblica. E’ servito l’impegno delle istituzioni. La matrice neofascista della strage è stata accertata nei processi e sono venute alla luce coperture e ignobili depistaggi, cui hanno partecipato associazioni segrete e agenti infedeli di apparati dello Stato. La ricerca della verità completa è un dovere che non si estingue, a prescindere dal tempo trascorso. E’ in gioco la credibilità delle istituzioni democratiche. La città di Bologna, sin dai primi minuti dopo l’attentato, ha mostrato i valori di civiltà che la animano. E con Bologna e l’Emilia-Romagna, l’intera Repubblica avverte la responsabilità di difendere sempre e rafforzare i principi costituzionali di libertà e democrazia che hanno fatto dell’Italia un grande Paese».

Parole, evidentemente, non recepite, perché molto scomode a chi oggi guida, in termini di governo il nostro Paese. Il rifermento è evidente perché sia la premier Giorgia Meloni nel suo messaggio, che il ministro dell’interno Piantedosi presente alle celebrazione nella città di Bologna, hanno tranquillamente omesso le responsabilità neofasciste della strage parlando, sic et simpliciter, di terrorismo. Certo di terrorismo si è trattato, presidente del Consiglio e ministro dell’Interno, ma di stampo neofascista e golpista con nomi e cognomi ormai conosciuti da tutti: i mandanti, Paolo Bellini, esponente di Avanguardia Nazionale (condannato all’ergastolo), in concorso con, Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato, e Mario Tedeschi esponenti deviati tra servizi segreti e logge massoniche (tutti deceduti); gli esecutori materiali, Valerio Fioravanti, Francesca Mambro, Luigi Cavardini, appartenenti ai NAR, Nuclei Armati Rivoluzionari, non propriamente un’associazione benefica…

È evidente e senza voler fare retorica che, premesse tutte le migliori convinzioni ideologiche che ognuno di noi porta dentro di sé per qualsivoglia background culturale, corre l’obbligo ricordare che per governare l’Italia a qualsiasi livello, amministrativo comunale, provinciale, regionale, e di indirizzo politico parlamentare e governativo la stella polare deve e dovrà sempre essere il dettato della Carta Costituzionale. Piero Calamandrei rivolgendosi nel 1955 agli studenti milanesi disse: “La Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta: lo lascio cadere e non si muove. Perché si muova bisogna ogni giorno, in questa macchina, rimetterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere quelle promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica (…)”.